Sono il risultato diretto di una settimana politicamente significativa negli Stati Uniti, durante la quale l’amministrazione Trump ha promosso una serie di leggi a favore del settore, tanto che in molti l’hanno già ribattezzata “crypto week”.
Tre i provvedimenti depositati: il Genius Act, il Privacy Act (già ribattezzato anti-CBDC Act) e il Clarity Act. Di Trump si possono dire molte cose, ma sul fronte delle criptovalute la sua visione appare straordinariamente lucida e coerente.
Il Genius Act punta a favorire le stablecoin private, che, lo ricordiamo, sono criptovalute il cui controvalore è ancorato a quello del dollaro. Questa decisione non è presa per agevolare aziende amiche, come i maligni hanno suggerito, ma perché la legge stabilisce che tali monete debbano essere interamente collateralizzate da titoli del Tesoro degli Stati Uniti.
In altre parole, ogni dollaro digitale emesso deve essere garantito da un dollaro reale sotto forma di obbligazioni statali americane. Trump mira così a ridurre, o almeno a rendere più sostenibile, il pesantissimo debito pubblico americano trasformando le stablecoin in strumenti finanziari che rafforzano la domanda globale di titoli di Stato USA. Un’operazione che va di pari passo con la svalutazione del dollaro del 12% ottenuta tramite lo spauracchio dei dazi commerciali, azione che ha indirettamente portato a una riduzione del debito pubblico. Con il Genius Act si punta quindi a sfruttare le criptovalute per garantire una sostenibilità strutturale del debito americano nel lungo periodo.
In quest’ottica si inserisce anche il Privacy Act con cui si vuole impedire alla Federal Reserve di emettere una propria valuta digitale (CBDC). Questo perché, a differenza degli emittenti privati, la Fed non sarebbe soggetta a obblighi di trasparenza e garanzia verso il mercato.
Il terzo provvedimento, il Clarity Act, è invece l’equivalente americano del regolamento europeo MiCAR (Markets in Crypto-Assets Regulation) e mira a definire un quadro giuridico per gli operatori crypto negli Stati Uniti. Anche in questo provvedimento si esclude categoricamente l’ipotesi di criptovalute di Stato, adottando, contrariamente all’Europa, un’impostazione molto più liberista.
Nel Vecchio Continente si impone che le riserve delle stablecoin siano detenute presso banche europee, una richiesta che i principali emittenti, come Tether, rifiutano, ritenendo i titoli di Stato molto più sicuri delle banche commerciali. In realtà, la causa è strutturale: non esiste un debito pubblico europeo omogeneo e di qualità condivisa, il debito tedesco è il più solido ma è insufficiente in termini di quantità, mentre quello italiano è abbondante ma meno affidabile. Per questo motivo, anche chi volesse emettere una stablecoin euro ancorata a titoli pubblici non avrebbe la possibilità concreta di farlo. Da qui la scelta quasi obbligata della BCE di puntare su un euro digitale emesso centralmente, comunque più in linea con una visione statalista tipicamente europea.
L’economia americana, pur essendo tecnicamente vicina alla bancarotta a causa dell’elevato debito pubblico e privato, resta in piedi grazie alla capacità di esportare dollari e importare beni e servizi. Le stablecoin, in questo scenario, sono una vera e propria arma strategica: permettono agli USA di “dollarizzare” ampie zone del mondo senza il bisogno di interventi politici diretti. Una forma moderna di mercantilismo finanziario, con gli Stati Uniti che diventano, di fatto, una sorta di banca centrale ombra di molti Paesi nelle zone povere del mondo.
Questo articolo contiene opinioni personali dell’autore che non devono costituire la base per prendere decisioni di investimento. Ricordiamo che l’intento di questa rubrica non è quello di dare consigli finanziari, ma semplicemente analizzare il mondo delle criptovalute per renderlo accessibile a tutti.