Tutto inizia lo scorso mese quando il viceministro dell’Economia Maurizio Leo ha reso pubblica la proposta di alzare la pressione fiscale sulle plusvalenze delle cripto-attività, così sono chiamate le criptovalute in legalese, dal 26% al 42%. Tale proposta ha scatenato un putiferio nel settore, visto che il Belpaese, insieme alla Danimarca, avrà la tassazione crypto più alta dell’Unione Europea.

Non sarà un caso che, a seguito di questa notizia, uno dei migliori commercialisti esperti di criptovalute, Stefano Capaccioli, si sia messo a scartabellare leggi e leggine trovando una falla grossa come una casa secondo la quale tutti coloro che negli ultimi anni hanno pagato il 26% di tasse avrebbero invece dovuto pagare solamente il 12,5%. Tale falla è dovuta al fatto che in Italia, quando una legge viene modificata, il testo non viene riscritto, ma vengono pubblicati emendamenti che ne aggiornano il testo stesso.

Un tecnicismo che fa sì che non esista un testo unico e omnicomprensivo delle varie leggi, ma che si debba mettere insieme, e in ordine cronologico, diversi testi provenienti da diversi documenti. Questo rende chiaramente la vita dei comuni cittadini estremamente difficile e li obbliga ad affidarsi ad un azzeccagarbugli del caso per capire come comportarsi. Nello specifico, la modifica del decreto-legge numero 66 del 2014 venne effettuata nella legge di bilancio di fine 2022, ma tale modifica non menzionava lo specifico comma relativo alle cripto-attività. Ed ecco che quindi coloro che hanno pagato tasse sulle plusvalenze negli ultimi due anni si sono visti applicare erroneamente un’aliquota maggiorata e a tutti questi sarà dovuto un rimborso. Il fatto è che i software stessi dell’Agenzia delle Entrate sono stati programmati per applicare l’aliquota errata del 26%, quindi sembrava che proprio nessuno prima del buon Capaccioli si fosse accorto dell’errore.

In realtà siamo a venuti a conoscenza di un dossier dell’ufficio studi di Camera e Senato datato 26/01/2023, quindi pochi giorni dopo l’approvazione della suddetta legge di Bilancio, in cui si invitava il Governo a risolvere il problema del comma mancante, ma tale correzione non è mai stata effettuata. In tutto questo pasticcio l’unica cosa positiva è che la nuova proposta di legge che farà definitivamente aumentare l’aliquota al 42% non sembra piacere neppure alla politica, con quattro dei cinque maggiori partiti italiani che si sono detti contrari. E anche la Banca d’Italia, celebre per essere sempre contraria a tutto ciò che è crypto, durante l’audizione sulla Legge di Bilancio ha esposto le sue perplessità riguardo a questa misura. Si è evidenziato che essa apporterebbe solo un incremento “trascurabile” al gettito fiscale e potrebbe anzi portare a risultati controproducenti, arrivando addirittura a incentivare pratiche elusive o di fuga dei capitali all’estero. È pertanto probabile che verranno fatte ulteriori modifiche meno penalizzanti nei confronti degli investitori, qualcosa come un sistema di tassazione progressiva che tenga conto del volume delle transazioni o della durata dell’investimento.

La Costituzione dice chiaramente di tutelare il risparmio dei cittadini in ogni maniera possibile, ma in questa situazione il legislatore sembra supportare esattamente il contrario. In un contesto globale in cui molti Stati in giro per il mondo sembrano aver intuito il potenziale delle criptovalute, l’Italia non può e non deve fare l’errore di remare nella direzione opposta.

Questo articolo contiene opinioni personali dell’autore che non devono costituire la base per prendere decisioni di investimento. Ricordiamo che l’intento di questa rubrica non è quello di dare consigli finanziari, ma semplicemente analizzare il mondo delle criptovalute per renderlo accessibile a tutti.