BUENOS AIRES – In questi giorni in Argentina si sta parlando molto di una sentenza della Corte di Cassazione che ha permesso il riconoscimento della cittadinanza italiana a un cittadino nato in Brasile, a cui mancava uno dei documenti richiesti. 

Si tratta della sentenza n. 14194 del 22 maggio 2024, che fa riferimento al seguente caso. 

Il cittadino brasiliano, discendente di un italiano emigrato in Brasile alla fine del XIX secolo, aveva presentato la richiesta di riconoscimento della cittadinanza al Comune di origine dell’avo. 

Non aveva però potuto reperire l’atto di nascita del figlio, nato in Brasile, dell’italiano emigrato del 1895. Poiché all’epoca nel Paese Sudamericano esisteva già il Registro dello Stato Civile, i funzionari del Comune hanno negato il riconoscimento della cittadinanza ius sanguinis senza l’atto di nascita in questione, nonostante fossero stati presentati altri documenti che accertavano il vincolo di sangue. 

Infatti, erano stati presentati l’atto di battesimo, dove figuravano i dati dei genitori, l’atto del successivo matrimonio dei genitori, in cui riconoscevano il figlio, e l’atto di matrimonio e di morte del medesimo. in cui era stato registrato che il genitore era l’immigrato italiano in questione. 

Il cittadino italiano aveva quindi fatto ricorso al Tribunale di Venezia e, in secondo grado di giudizio, alla Corte di Appello di Venezia, che però avevano confermato la decisione del Comune, peraltro condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 

Alla fine, però, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la decisione della Corte di Appello di Venezia, perché l’ordinamento italiano prevede un sistema “multilivello” di prova della filiazione in cui l’atto di nascita rappresenta solo il primo livello probatorio. 

Vale a dire che, nel caso non si possa presentare l’atto dello Stato Civile, la parentela può essere accertata in altri modi, con altre prove. 

Infatti la legge (secondo comma dell’articolo 236 del Codice Civile) prevede il riconoscimento della parentela in modo molto ampio, con qualsiasi prova che possa dimostrare “che il genitore abbia trattato la persona come figlio ed abbia provveduto in questa qualità al mantenimento, all’educazione e al collocamento di essa; che la persona sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali; che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia”. 

Abbiamo chiesto un parere sulla sentenza a Victoria Miranda, avvocata italo-argentina che spesso viene assunta per risolvere casi che riguardano richieste di cittadinanza bloccate per motivi simili. 

“Tutte le pratiche amministrative in definitiva si basano su regolamenti, su una serie di requisiti da compiere per questioni burocratiche, quindi le eccezioni vengono fatte attraverso il sistema giudiziario, tramite ricorso” spiega. E per evitare confusioni, tiene a precisare: “Ci sono due aspetti fondamentali da provare per il riconoscimento della cittadinanza italiana: la filiazione e la trasmissione della cittadinanza. In questo caso l’atto di cittadinanza che mancava non era necessario per dimostrare la nazionalità della persona in questione, bensì il vincolo di parentela con l’avo”. 

Questa decisione della Cassazione, che fa giurisprudenza, sarà quindi determinante per molti altri casi di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis, per cui è stato fatto ricorso in circostanze simili.