PADOVA - È iniziato, davanti alla Corte d’Assise di Venezia, il processo a Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin, ma il reo confesso non è in aula.  

In un dibattimento dall'esito (quasi) scontato, sulla condanna resta solo l'incognita della premeditazione, ma per la procura gli elementi raccolti lasciano pochi dubbi: l'ex fidanzato controllava Giulia Cecchettin e avrebbe progettato con anticipo il delitto e la fuga. 

Con sé aveva i coltelli con cui ha colpito la giovane, ma anche scotch e sacchi neri per legarla e poi nasconderla vicino al lago di Barcis, a circa cento chilometri da Vigonovo, oltre a soldi per la fuga, finita una settimana dopo in Germania. 

il pm Andrea Petroni ha presentato una lista di trenta testimoni, uno solo invece il teste della difesa. Gli avvocati, Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, hanno rinunciato all'udienza preliminare, anticipando che non chiederanno la perizia psichiatrica e sostenendo la necessità di un processo normale, senza trasformarlo in un evento mediatico. 

“Questo non è il processo contro i femminicidi, ma un processo contro il singolo che si chiama Turetta e che risponderà dei reati che gli sono stati contestati”, ha dichiarato Bruno Chierchi, procuratore capo di Venezia.  

“Se si sposta questo quadro a obiettivi più ampi si snatura totalmente il processo. Il processo non è uno studio sociologico, che si fa in altre sedi, il processo è l’accertamento di responsabilità dei singoli”, ha ribadito Cherchi. 

“Questa è la posizione della Procura, e lo è fin dall’inizio, quando abbiamo detto che il processo deve svolgersi in aule giudiziarie con i diritti che anche l’imputato ha, secondo la Costituzione e il Codice di procedura penale”, aggiunge.