BOLOGNA - Nazia Shaheen, la madre di Saman Abbas, arriva per la prima volta in un’aula di tribunale italiana, dopo l’estradizione dal Pakistan, lo scorso agosto e rimane a lungo seduta a testa bassa, con le mani sul volto, anche quando può vedere dopo lungo tempo il marito Shabbar Abbas entrare nell’aula e prendere posto nella gabbia, dalla parte opposta alla sua.
Per la prima udienza del processo di appello sull’omicidio della diciottenne di Novellara sono presenti tutti e cinque i familiari imputati: oltre ai due genitori, condannati all’ergastolo, anche lo zio di Saman Danish Hasnain, condannato a 14 anni con una sentenza appellata dal suo difensore e pure dai pm, che chiedevano una pena più elevata.
In aula fin dal mattino presto anche i due cugini Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, a piede libero dopo l’assoluzione della Corte di assise di Reggio Emilia arrivata a dicembre 2023, per cui la Procura ha fatto appello.
Nell’udienza del 6 marzo sarà riascoltato il fratello di Saman Abbas, minorenne all’epoca dei fatti, in qualità di testimone. Lo ha deciso la Corte di assise di appello di Bologna, sciogliendo la riserva sulle richieste istruttorie della Procura generale.
Il giovane, in primo grado, aveva accusato i familiari imputati ma la Corte di Reggio Emilia aveva sostanzialmente valutato come inattendibili molte delle sue dichiarazioni. Sempre nell’udienza del 6 marzo sarà proiettato in aula il video realizzato dagli inquirenti che mette in fila una serie sequenze riprese dalle telecamere nei giorni del delitto.
“La variabile impazzita sono le dichiarazioni degli imputati: Shabbar Abbas ha già parlato, la vera novità è la presenza in aula di Nazia che sarebbe l’elemento dirompente e nuovo del processo”, dice l’avvocato Liborio Cataliotti, difensore di Danish Hasnain, lo zio della diciottenne uccisa, parlando coi giornalisti prima di entrare nell’aula della Corte di appello.
Il suo assistito, condannato a 14 anni in primo grado, è l’unico imputato a trovarsi in una posizione ambivalente: “Subisce anche l’appello della Procura che chiede di riapplicare le aggravanti, disapplicate su mia richiesta in primo grado. Se fosse una partita di calcio si direbbe zero a zero, palla al centro, perché può succedere di tutto, da assoluzione fino all’ergastolo”.
Ad avviso di Cataliotti, le prove raccolte in primo grado sono “ampiamente sufficienti”, e la sentenza sarebbe ineccepibile se non rimanesse un solo nodo da sciogliere, ovvero capire se Danish sia arrivato prima dell’esecuzione dell’efferato omicidio o immediatamente dopo. “Ed è un dubbio dichiaratamente irrisolto dalla sentenze e che secondo me può fare la differenza”, spiega l’avvocato.