MILANO - Alessandro Impagnatiello è stato condannato all'ergastolo e a tre mesi di isolamento diurno per aver ucciso a coltellate la fidanzata Giulia Tramontano, incinta di sette mesi, il 27 maggio 2023 a Senago, in provincia di Milano. 

Lo ha deciso la Corte di Assise al termine del processo di primo grado per omicidio volontario pluriaggravato, interruzione non consensuale di gravidanza e occultamento di cadavere, non riconoscendo alcuna attenuante ed escludendo solo l'aggravante dei futili motivi, mantenendo quelle della premeditazione, della crudeltà e del rapporto di convivenza.  

La Corte ha anche riconosciuto il concorso formale tra l'omicidio e le altre due imputazioni di occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza non consensuale, applicando oltre all'ergastolo anche sette anni di reclusione per questi ultimi due reati. 

La Corte, inoltre, ha condannato l’imputato a risarcire con provvisionali da 200mila euro ciascuna il padre e la madre di Giulia, e con 150mila euro a testa il fratello e la sorella della vittima. Dai giudici è arrivata anche una più dura pronuncia sull'isolamento, calcolato in tre mesi. 

Anche la famiglia di Giulia, in questi mesi, aveva sempre chiesto che l'ex barman fosse condannato all'ergastolo, l'unica pena “giusta” per lui, come avevano ribadito in più occasioni. 

I parenti, dopo la lettura della sentenza di condanna all'ergastolo per Alessandro Impagnatiello, si sono schierati davanti a uno degli ingressi del palazzo con uno striscione con la foto di Giulia. 

“Abbiamo perso una figlia, un nipote, abbiamo perso la nostra vita – ha detto Loredana Femiano, mamma di Giulia –. Io non sono più una mamma, mio marito non è più un papà, i nostri figli saranno segnati a vita da questo dolore.  Quello che abbiamo perso non lo riavremo mai. Oggi non abbiamo vinto, abbiamo perso in tutto”. 

Giovanni Cacciapuoti, avvocato di parte civile della famiglia Tromontano, ha commentato la sentenza: “Abbiamo sempre ritenuto l'ergastolo l'unica sanzione possibile”.

Il legale ha spiegato ai cronisti che la madre della ventinovenne è scoppiata in un pianto liberatorio dopo il verdetto, “perché al di là del dolore immenso che prova, ricevere formalmente il riconoscimento del massimo della responsabilità, secondo quella che è la giustizia degli uomini, per lei e gli altri familiari è una consolazione relativa, perché evita almeno una beffa”.