La mattina del 25 agosto 1944 agli ufficiali e ai soldati britannici di stanza a Montemaggiore al Metauro per poco non venne un colpo quando sulla sponda meridionale del fiume si materializzò la sagoma inconfondibile di Winston Churchill, col caratteristico sigaro “Romeo y Julieta” fumante all’angolo della bocca. Al suo fianco, il generale Harold Alexander, comandante di tutte le forze alleate in Italia. I due erano atterrati all’aeroporto di Loreto Marche e avevano raggiunto subito Montemaggiore, per sovrintendere agli ultimi preparativi dell’Operazione Olive, la grande offensiva sul fronte italiano per spezzare la Linea Gotica e sbaragliare definitivamente l’esercito tedesco. Churchill ha un obiettivo strategico segreto che non è condiviso dagli alleati americani, ed è quello di vincere subito in Italia per correre il prima possibile verso i Balcani e impedire che l’Armata Rossa di Joseph Stalin avanzi troppo nella pianura danubiana e quindi nel cuore dell’Europa per trapiantarvi il comunismo. Gli statunitensi attribuiscono invece al fronte italiano un’importanza relativa, e ogni loro sforzo militare è concentrato sulla Francia, per giungere il prima possibile a portare la guerra sul territorio del Reich. Gli Alleati, quindi, sono in pieno contrasto sugli obiettivi della Campagna d’Italia. Una fotografia mostra il primo ministro britannico e il generale Alexander mentre dal castello di Montemaggiore osservano la valle del Metauro, dove nella notte del 25 agosto si riversa la furia di circa 1.500 bocche da fuoco, preludio all’offensiva su vasta scala. I tedeschi, dopo aver conteso il terreno lungo la Linea Gustav che correva tra Ortona sull’Adriatico e Gaeta sul Tirreno, nel punto più stretto della Penisola, si erano ritirati per attestarsi lungo una nuova linea difensiva tra Pisa e Rimini, approntata per oltre 300 chilometri sfruttando ogni possibile ostacolo naturale come montagne e fiumi e realizzandone di artificiali con bunker, trincee, reticolati, campi minati, fossati anticarro, postazioni per mitragliatrici e piazzole per l’artiglieria. L’inferiorità numerica e in mezzi della Wehrmacht è compensata dalla migliore qualità delle truppe combattenti, mentre sui cieli il predominio alleato è pressoché totale perché la Luftwaffe non solo non li controlla più ma non riesce neppure a garantire una ricognizione strategica del campo di battaglia. 

La Linea Gotica sotto l’urto alleato

Per quanto il feldmaresciallo Albert Kesselring se l’aspetti, l’offensiva scatenata nella notte del 25 agosto lo coglie di sorpresa per la violenza e l’intensità: “Il rombo dell’artiglieria era continuo, senza nemmeno una pausa. I cannoni non si fermavano mai. Impressionante” era il ricordo del capitano Domenico Troilo, comandante tattico della Brigata Maiella di volontari abruzzesi inquadrati nel II Corpo d’armata polacco. Circa un milione e mezzo di proiettili di grosso calibro vengono rovesciati dagli artiglieri contro le linee tedesche. Il piano operativo prevede di infrangere le difese nemiche sul settore adriatico di competenza dell’8ª Armata britannica, più favorevole perché pianeggiante, mettere in crisi l’intero schieramento costringendo Kesselring a spostare carri armati e granatieri corazzati nei settori di crisi e poi muovere in un secondo tempo sul Tirreno e sull’Appennino la tenaglia della 5ª Armata statunitense per stritolare la 10ª Armata della Wehrmacht e ricacciarla al di là delle Alpi. Si muovono quindi le cinque divisioni del V Corpo britannico del generale Charles Frederick Keightley e le due del I Corpo canadese del generale Eedson Louis Millard Burns che si erano posizionate alle spalle del II Corpo polacco del generale Wladyslaw Anders senza farsene accorgere dai tedeschi.

Le contromosse di Kesselring 

La 71ª e 278ª divisione di fanteria comandante dai generali Wilhelm Raapke e Harry Hoppe e la 5ª alpini del generale Max Schrank e gli esperti paracadutisti della 1ª divisione di Richard Heidrich (che però è assente dal fronte) sono investiti di slancio da inglesi, canadesi e polacchi. I ranghi tedeschi sono sottodimensionati perché logorati dai precedenti combattimenti e quello è un attacco in forze in piena regola, dall’urto tremendo. Al LXXVI Panzerkorps del generale Traugott Herr occorrono due giorni per imbastire un’efficace reazione organizzata. Si combatte ferocemente. Il 29 agosto Kesselring invia a tamponare la 26ª divisione corazzata, la 29ª granatieri corazzati e la 98ª di fanteria per impedire il crollo. Churchill, che aveva osservato il campo di battaglia per alcuni giorni, scriverà sul suo diario: “Il fuoco era disordinato e intermittente ma quello fu il punto più vicino al nemico in cui mi accadde di arrivare durante la seconda guerra mondiale”. I primi giorni dell’offensiva sembravano dare ragione all’ambizioso piano britannico. I polacchi e i maiellini passano il Metauro e puntano decisi verso Pesaro, anche i canadesi avanzano e inglesi e indiani arrivano a liberare Montefelcino e Urbino. I tedeschi in ripiegamento si attestano sulla sponda settentrionale del fiume Foglia in secca. Dopo il consueto bombardamento preliminare di artiglieria, fanti e carri canadesi approfittano di una falla nello schieramento e investono di lato i paracadutisti.

Combattimenti e perdite di uomini e mezzi

Il 3 settembre le linee di difesa tedesche nelle Marche sono superate, ma si tratta di un successo parziale. Il meteo, con pioggia e fango già a settembre, e la natura del territorio, avrebbero giocato ancora una volta in favore di Kesselring, come accaduto nell’autunno-inverno in Abruzzo, lungo la Linea Gustav. Lo sfondamento c’era stato ma i comandi tedeschi erano stati ancora una volta abilissimi a ricostituire un solido fronte di difesa. L’offensiva rallentava per poi procedere quasi per inerzia fino ad arrestarsi per freddo, gelo e neve, lungo il corso del Senio, senza un successo risolutivo. Per due mesi si sarebbe combattuta la più grande battaglia in Italia per numero di mezzi sul campo di battaglia, senza però riuscire a dilagare sulla Pianura Padana. La fanteria avrebbe pagato un alto prezzo in termini di morti e feriti, con perdite pesanti in tutti gli schieramenti. Alexander, con un discusso proclama entrato nella storia, il 13 novembre bloccherà le operazioni ordinando alle formazioni partigiane di cessare il loro impegno, come se fosse fattibile una sorta di disarmo stagionale che, per quanto disapplicato, consentirà ai nazifascisti di intensificare le azioni repressive contro le bande.

La “guerra del centimetro”

L’Operazione Olive, penalizzata anche dall’invio di unità ed equipaggiamenti verso il fronte francese ritenuto dagli americani prioritario, si risolse in un ulteriore successo tattico tedesco nella guerra difensiva in Italia che consisteva di contendere ogni centimetro di terreno (da cui il termine Zentimeterkrieg) logorando gli Alleati in una serie di scontri impegnativi ma non decisivi. La Wehrmacht avrebbe tenuto inchiodati gli angloamericani in Italia fino alla primavera 1945. Churchill aveva già dovuto dismettere il disegno di tenere lontani i sovietici dai Balcani, nonostante ancora a settembre si dicesse convinto che l’esercito tedesco del fronte meridionale stava per essere sgominato, tanto da scriverlo a Stalin.