Adolf Hitler nell’estate del 1943 aveva detto alla radio che mai nel Terzo Reich si sarebbe potuto verificare un 25 luglio come quello che aveva defenestrato Benito Mussolini in Italia. Ma per lui ci sarà il 20 luglio 1944: non per destituirlo, bensì per assassinarlo. Il punto in comune tra il Gran Consiglio e gli ufficiali della Wehrmacht che avevano promosso e attuato il complotto, era che ambedue non agirono nel nome di un’astratta libertà, ma per salvare il sistema sacrificandone i capi: i fascisti per l’uscita dell’Italia dalla guerra preservando il regime, i tedeschi per giungere alla pace con gli Alleati e riversare l’Esercito contro i sovietici. Il concetto di tradimento, comunque, era diverso. Perché i gerarchi che avevano votato l’Ordine del giorno di Dino Grandi avevano rimesso nelle mani del re Vittorio Emanuele III le sue prerogative sovrane, ma gli ufficiali avevano prestato giuramento di fedeltà direttamente a Hitler, e nell’opinione pubblica tedesca, diversamente da quella italiana, aver cercato di uccidere il Fuhrer era considerato alto tradimento. E sarà così per molto tempo ancora. Hitler, nell’immediatezza dell’attentato a Rastenburg, aveva parlato con sprezzo di un’“esigua cricca di ufficiali ambiziosi, irresponsabili, insensibili e stupidi” e aveva scatenato una spietata vendetta; Winston Churchill aveva liquidato l’attentato al Fuhrer del 20 luglio 1944 come una resa dei conti tra centri di potere del Terzo Reich e aveva osservato con cinismo che i capi nazisti ormai si ammazzavano tra di loro. Pochi, in Germania, attribuirono all’Operazione Valchiria il valore di un tentativo di riconquista della libertà eliminando il suo tiranno, quanto piuttosto l’espressione dell’autoconservazione della casta militare per sopravvivere all’annientamento.

La lettera

La bomba fatta esplodere alle 12.42 da Claus von Stauffenberg durante una riunione alla Wolffschanze nella Prussia Orientale era l’atto d’innesco di un complesso piano che doveva portare a reimpadronirsi della Germania dopo 11 anni di potere assoluto del nazismo, e a intavolare al più presto una trattativa con gli Alleati per poter indirizzare tutto lo sforzo bellico a oriente dove l’Armata Rossa era prossima a dilagare. Dopo lo sbarco in Normandia del 6 giugno il fronte occidentale manifestava segni di cedimento. A un militare esperto come il feldmaresciallo Erwin Rommel non era sfuggito il quadro generale e il 16 luglio aveva indirizzato al comando supremo, e quindi a Hitler, un rapporto sulla situazione in Francia di cui era chiara la portata: “Credo necessario pregarvi di tirare tutte le conseguenze politiche di questa situazione”. Aveva subito cancellato la parola “politiche” ma era rimasto intatto il senso della necessità di trattare per farla finita con quella guerra. Il giorno dopo, in un colloquio con il comandante della I divisione corazzata SS, Sepp Dietrich, era rimasto sorpreso dal sentire da lui e dai suoi comandanti che la situazione stava diventando insostenibile e bisognava farla finita. Dietrich era un duro, ex autista ed ex guardia del corpo di Hitler, se si permetteva di dire questo in libertà allora voleva dire che c’era ben poco da fare. Erano già stati persi poco meno di 97.000 uomini e come rincalzi ne erano arrivati appena 6.000. A fronte di 227 panzer fuori combattimento ai reparti ne erano stati inviati 17. La Luftwaffe era il simulacro di quella dell’inizio della guerra. 

La cospirazione 

C’è già chi ha pensato che per salvare il salvabile niente può essere fatto se prima non si elimina la radice di tutti i problemi: Hitler. Si è raggrumato un nucleo di congiurati che annovera alte personalità dell’esercito e della società civile, diplomatici, uomini di chiesa cattolici e protestanti, esponenti dell’aristocrazia, che dovranno riempire il vuoto di potere e traghettare verso la fine delle ostilità e impedire il disastro totale. L’Operazione Valchiria matura in questo contesto, con l’ottavo attentato alla vita del Fuhrer che è miracolosamente scampato a tutti i precedenti tentativi ingenerando in lui la convinzione di essere sotto la protezione della Provvidenza. Il piano è complesso e deve portare alla neutralizzazione di tutte le strutture naziste, a partire dalle SS. Se la sua testa politica è in Germania, il suo cuore operativo militare è in Francia, dove si sta giocando la partita più difficile. Rommel, che ha aderito solo successivamente alla congiura restando in seconda fila, ha già disegnato la composizione della delegazione della Wehrmacht che dovrà andare a negoziare con gli Alleati.

L’attentato

Ma niente va bene quel 20 luglio a Rastenburg. Per il caldo viene scelta una sala con le pareti in legno e non di cemento armato che avrebbe moltiplicato l’effetto devastante dell’ordigno innescato da Stauffenberg; per di più la valigetta da lui posata vicino a Hitler è stata presa e spostata. Quando avviene la deflagrazione il colonnello è convinto che tutto sia andato per il verso giusto e vola a Berlino per la parte operativa. Ma mentre la Wehrmacht disarma le unità SS e arresta i gerarchi, più di qualcosa s’inceppa nelle comunicazioni, tra dubbi, titubanze, ripensamenti, mancanza di decisionismo, ambiguità. Hitler non è morto, è solo ferito, e nello choc non pronuncia nessuna frase che fa la storia ma si preoccupa solo dei suoi pantaloni rovinati, indossati per la prima volta. Le vittime sono quattro, ma neppure questo basta a fare la storia. Stauffenberg ha imposto la diramazione della parola d’ordine “Walküre”, asserendo di aver visto lui stesso Hitler morto, ma basta poco prima che il quadro reale emerga nella sua drammatica verità. Alcuni generali provano a fare dietrofront chiamandosi fuori, il ministro Joseph Goebbels lancia proclami di fuoco e di vendetta, Hitler schiuma rabbia.

L’incontro

All’incontro con il Duce programmato per quel giorno Hitler di presenterà con un braccio fuori uso per una paralisi temporanea e un batuffolo di cotone nell’orecchio per la lesione al timpano dovuta al boato. Gli dirà che la Provvidenza ancora una volta lo ha protetto affinché potesse compiere la sua missione per la Germania. Nel Reich non ci sarà nessun governo militare come quello di Pietro Badoglio per traghettare verso la fine delle ostilità: il generale Ludwig Beck non diventerà capo dello Stato, l’ex borgomastro di Lipsia Carl Gòrdler non sarà cancelliere, ripristinando le due cariche costituzionali che Hitler aveva fuso dopo la morte di Hindenburg diventando Führer. Quel governo provvisorio denazificato non vedrà mai la luce. La cospirazione avrebbe dovuto essere portata a compimento entro 24 ore o sarebbe fallita se anche l’attentato di Rastenburg fosse andato a buon fine: alle 18 la più potente stazione radio tedesca, la Deutschlandsender, annuncia che Hitler è scampato all’attentato e in serata si rivolgerà al popolo. Il ministro Goebbels, rimasto nel suo ufficio a Wilhelmplatz, fa parlare il maggiore Otto Ernst Romer telefonicamente con il Führer a Rastenburg per provargli che è vivo: questi lo nomina colonnello e lo mette agli ordini di Himmler con tutto il suo Wachtbataillon. È finita. La rappresaglia sarà spietata. Stauffenberg viene messo al muro, scattano esecuzioni sommarie dappertutto, nell’ordine di migliaia come gli arresti.

La vendetta

Il generale Friedrich Fromm aveva cercato di salvarsi ordinando la fucilazione immediata del generale Friedrich Olbricht, di Stauffenberg e del tenente von Haeften, per liberarsi di scomodi testimoni, che avviene alla luce dei fari delle auto e dei camion nel cortile della Bendlerstrasse. Il generale Beck chiede di potersi sparare alla tempia. Lo stesso Fromm non scamperà all’orgia di sangue. Rommel, che riteneva di poter essere rimasto al riparo a causa dell’incidente dovuto a un mitragliamento aereo che l’aveva fatto ricoverare in ospedale, verrà messo nelle condizioni di suicidarsi: troppo rischioso per il regime un processo pubblico a un eroe nazionale, e in cambio sarebbe stata risparmiata la sua famiglia. Hitler aveva annunciato alla radio che non ci sarebbero stati processi militari ma il giudizio del tribunale del popolo, ed entro due ore la condanna sarebbe stata eseguita. Niente fucilazioni ma impiccagioni. Il giudice Roland Freisler umilierà sadicamente gli imputati costretti a reggersi con le mani i pantaloni senza cinta. Le esecuzioni in carcere vengono riprese dalle telecamere e il filmato proiettato in Cancelleria. Il capo dell’Abwehr, ammiraglio Wilhelm Canaris, sarà impiccato appeso a una corda di pianoforte. Il corpo di Stauffenberg verrà dissepolto e bruciato e le ceneri disperse “ma non su terreni coltivati”.