In questi giorni ricorre l’anniversario dell’ordinazione sacerdotale del padre spirituale della comunità Italiana dello Illawarra. Era il 4 settembre del 1971, quando lo scalabriniano Angelo Buffolo fu ordinato sacerdote e per celebrare i suoi 50 anni a servizio dei fedeli e della chiesa, ha voluto scrivere ai suoi parrocchiani una lettera nella quale ripercorre i suoi primi passi e rincontra, spiritualmente, quante lo hanno accompagnato in questo lungo percorso.

Di seguito la sua lettera ai fedeli.

“Grazie innanzitutto al signore per il dono inestimabile della vocazione e del ministero: un dono che si spiega soltanto nell’ottica del mistero di Dio, ‘Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi’ ci ricorda Gesù nel Vangelo (Giov.15.16). Dio sceglie e chiama chi vuole, per amore, senza tener conto della persona, delle sue qualità e aspettative. Il mio grazie si estende poi a tutti coloro che, in un modo o nell’altro durante tutti questi 50 anni mi sono stati vicini, mi hanno accompagnato, sostenuto, sopportato, offerto la loro collaborazione ed amicizia. Sarebbe impossibile farne un elenco completo. Ma non posso non citare anzitutto la mia famiglia, una famiglia profondamente Cristiana, semplice, modesta: i genitori che mi hanno trasmesso la vita ed ora sono in cielo assieme a due fratelli e tre sorelle che li hanno seguiti. Sinceramente, ho un debito di riconoscenza verso di loro: non mi hanno mai lasciato solo anche nei momenti di difficoltà.

C’è poi un’altra famiglia, che mi ha accolto ed accettato come loro fratello, la grande famiglia Scalabriniana in cui mi sono sentito pienamente realizzato come uomo e sacerdote-missionario respirando lo stesso spirito e lo stesso ideale “Umiltas” che mi hanno accompagnato durante tutti questi anni: farmi migrante con i migranti.

Fin dal lontano 1955, quando sono entrato in seminario a Bassano del Grappa, ho condiviso la mia vita con voi, carissimi confratelli e devo affermare ancora una volta di essermi trovato bene tra voi e con voi come a casa. Non ringrazierò mai abbastanza i missionari che, tornando dalle loro missioni con le loro testimonianze ed esperienze sacerdotali-missionarie hanno “scaldato” la mia aspirazione ad essere uno di loro: senza di loro il mio ministero sarebbe stato meno entusiasta. Grazie poi a tutti gli emigrati che mi hanno dato la possibilità di esercitare il mio apostolato. Quanti sacramenti amministrati, quante famiglie avvicinate, quanti momenti di ascolto, quante confidenze! Solo Dio sa, quanta soddisfazione per essermi sentito strumento di Dio.

Oltre alla gratitudine questo anniversario è anche occasione per ricordare il monito di San Paolo rivolto a Timoteo: ‘Ti ricordi di ravvivare il dono di Dio che è in te, il dono del sacerdozio conferito con l’imposizione delle mani ‘. Questo dono lo si ravviva tornando alle radici, crescendo sempre di più nella consapevolezza d riscoperta di quella che è l’identità propria e profonda del prete, quella cioè di essere scelto fra gli uomini e costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio.

Devo ricordarmelo spesso. “Non sono diventato prete per mia soddisfazione personale ma per mettermi al servizio degli altri”. Ecco allora il potere straordinario di celebrare l’Eucaristia, centro e cuore del ministero sacerdotale, che oltre a rendere presente la persona di Gesù, è ciò che costituisce la Chiesa: ecco anche il potere di riconciliare gli uomini con Dio attraverso il perdono dei peccati; ecco infine il potere, la capacità di esercitare la carità pastorale per guidare, unire e santificare il popolo di Dio. Ravvivare il dono dell’ordinazione significa dunque per me chiamare alla coscienza che cosa significa essere prete missionario di Cristo e della Chiesa, significa conservare e testimoniare lo stupore, la gioia e la gratitudine per la grazia della vocazione e del ministero. Sono trascorsi 50 anni della mia ordinazione. Questo anniversario mi costringe ora a guardare al futuro.

Certamente il futuro è nelle mani di Dio, ma questo non ci esime dall’assumere le proprie responsabilità nella vita presente.
Da molte parti e da tanti mi è stato chiesto che cosa farò una vota passata l’euforia della festa… Rispondo: ‘Continuerò a fare il prete-missionario, ritirato o no, pensionato o meno… la vita continua, anche perché il mio ideale di missionario-scalabriniano è sempre vivo’. A tutti voi amici di questa comunità di Wollongong con cui ho condiviso tanti momenti di gioia e anche qualche sofferenza e che mi siete stati  sempre vicini, avete pregato, gioito ed anche a volte sofferto con me, specialmente in questo tempo di pandemia, chiedo, come comunemente fa Papa Francesco: ‘Non dimenticatevi e continuare a pregare per me’.

Il signore ci renda docili e fedeli strumenti nelle sue mani e renda fecondo fino all’ultimo respiro il lavoro che abbiamo insieme intrapreso nella sua vigna”.