Il Natale è alle porte e, nelle case della comunità italo-australiana, l’attesa passa anche dalla cucina. Le tavole si preparano ad accogliere ricche decorazioni e piatti succulenti, mentre i forni tornano a lavorare a pieno ritmo.  Tra i dolci che accompagnano il periodo natalizio, la scena è occupata da due grandi classici: pandoro e panettone. 

Apparentemente simili, in realtà lontani per storia, ingredienti, consistenza e tecnica di lavorazione. E come ogni dicembre, la domanda divide famiglie e invitati: meglio pandoro o panettone?

Il pandoro si presenta soffice, dorato, avvolto da un aroma pieno di burro e vaniglia. Le sue origini sono legate a Verona e a un nome preciso: Domenico Melegatti, che il 14 ottobre 1894 depositò il brevetto del dolce presso il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio del Regno d’Italia. Quel brevetto sancì ufficialmente un prodotto che già circolava, con radici che affondano probabilmente nel Medioevo, ai tempi della Repubblica di Venezia. La tradizione veronese racconta che nella notte della Vigilia le donne delle corti preparassero il Pane di Vienna, pane dolce di origine austriaca, ricco di burro. Da lì, l’evoluzione. 

Quanto allo stampo iconico a tronco di cono con otto punte, la paternità è contesa: secondo alcune versioni fu disegnato dal pittore Angelo Dall’Oca Bianca, mentre l’azienda lo attribuisce allo stesso Melegatti. Oggi il pandoro è il rifugio sicuro di chi schiva uvetta e canditi, e cerca una mollica morbida, da spolverare con zucchero a velo e gustare senza mediazioni.

Anche il panettone porta con sé una storia complessa, legata a Milano e alle sue corporazioni quattrocentesche. Un documento del 1470, redatto da Giorgio Valagusa, precettore degli Sforza, cita il “Rito del Ciocco”: durante le festività natalizie si condivideva pane di frumento attorno a un grande ceppo acceso, come augurio di prosperità. 

Quel pane, arricchito nel tempo con zucchero, burro e uova, prese il nome di “Pan de Sciori” o “Pan de Ton”, il ‘pane dei signori’. Da qui nasce il dolce dalla forma a cupola, con un impasto dorato, punteggiato di uvetta e canditi nella versione classica. Oggi esistono anche varianti più elaborate, farcite di creme e ricoperte da glasse croccanti, pensate per chi ama sapori decisi e stratificati.

Le preferenze, come sempre, si raccontano anche attraverso le voci della comunità. Enza Gissara, del Monte Lauro Social Club, non ha dubbi: “Semplice e soffice, lo taglio e lo servo dopo cena, per il pranzo di Natale”. Vittoria Rocco, invece, fa una distinzione netta: “Mangio solo i panettoni che porta mio figlio quando viene a trovarci, rigorosamente artigianali e tradizionali. Gli altri, quelli commerciali che restano mesi sugli scaffali, preferisco evitarli: meglio un dolce fresco fatto in casa”.

C’è poi chi sovverte la tradizione regionale. Gina Mason, di origine veneta, sceglie “sicuramente il panettone” e suggerisce una ricetta anti-spreco per quelli che si accumulano durante le feste. “Si taglia il panettone, si aggiunge un po’ di uva sultanina e un goccio di brandy. Si sbattono tre o quattro uova, si versano sopra con un po’ di latte, si copre con mele e si mette in forno”. Il risultato è un pudding cremoso, morbido e profumato.

I numeri confermano che la sfida resta apertissima. Secondo un recente sondaggio di Unione Italiana Food, il pandoro è presente sull’87% delle tavole italiane, particolarmente apprezzato da donne del Belpaese, Gen Z e giovani famiglie del Centro Italia. Il panettone segue da vicino con l’82,8%, più amato dagli uomini e dai Baby Boomers del Nord-Ovest. Anche in Australia il mercato di entrambi i prodotti è in crescita, con un leggero vantaggio per il panettone, soprattutto nelle nuove versioni cremose.

Le scelte individuali riflettono palato e sensibilità. Antonio Barresi non rinuncia al panettone, mentre per Pina Conidi, segretaria dell’Italian Social Club Altona, “il pandoro vince per la sua morbidezza”. 

Anche in redazione il dibattito resta acceso, ma su un punto c’è accordo: al di là delle preferenze, contano la qualità delle materie prime,  l’autenticità del prodotto, e il piacere di mangiare assieme. Il resto è solo una questione di gusto.