Paola Pivi è un’artista che trasforma l’ordinario in straordinario, liberando la realtà dai suoi confini consueti e restituendola in forme sorprendenti. Orsi polari si coprono di piume dai colori psichedelici, aerei si sollevano sulle punte delle ali, zebre galoppano tra i ghiacci, pesci rossi prendono il volo all’interno di installazioni aeree: la sua arte mescola ironia e stupore, provocando lo spettatore a riconsiderare ciò che crede di conoscere. Oggetti riconoscibili diventano veicoli di un universo inaspettato, dove la stravaganza diventa utopia e ogni opera esplora i confini della percezione.
Nata a Milano nel 1971, con un passaporto pronto all’uso e una curiosità senza confini, Pivi ha viaggiato in lungo e in largo prima di stabilirsi in Alaska, costruendo una pratica artistica che rifiuta limiti geografici o disciplinari. “Non so se riesco a trovare le parole per descrivere una cosa così vitale e meravigliosa per un’artista”, racconta pensando alla grande esposizione che inaugurerà il prossimo 8 novembre all’Art Gallery of Western Australia (AGWA). “Sono invitata a esprimermi e questo nel mondo di oggi è sempre più difficile. Mi sembra un’occasione davvero meravigliosa per la mia vita”.
La sua storia è quella di una vocazione tardiva e allo stesso tempo inevitabile. Da giovane studia Ingegneria al Politecnico di Milano e insegna aerobica. Eppure, dietro quella quotidianità, si nasconde un senso di estraneità, un’inquietudine che cresce. “C’era sempre questo fondo di tristezza, questo senso di non appartenenza”, confessa. L’incontro con l’Accademia di Brera e con Alberto Garutti, uno dei maestri più illustri di arte contemporanea, è stato il punto di svolta. Non un’intuizione fulminea, ma piuttosto una progressiva scoperta di sé. “Fu il mio corpo a decidere per me. Di giorno in giorno si rifiutava di portarmi al lavoro. Alla fine, quel mese di vacanza concesso dal mio capo non terminò mai”, ricorda l’artista.
Oggi Pivi lavora su scala internazionale, con un Leone d’oro ricevuto alla Biennale di Venezia nel ‘99 e con opere che sono diventate icone della contemporaneità.
È lei stessa a descrivere l’allestimento australiano come un “viaggio”, costruito, anche se non a priori, in un dialogo con l’architettura del museo. Tra le opere presentate, un gonfiabile monumentale nato da una vignetta di Lincoln Peirce, autore del celebre fumetto Big Nate. “Era da anni che desideravo realizzarlo. Quando ho trovato quella vignetta ho capito che era quella giusta. Ho contattato l’autore, gli ho spiegato il progetto e lui è stato subito entusiasta”.
Ma l’immaginario di Paola Pivi non si esaurisce nella sorpresa visiva. Dietro la forma approssimativa delle cose che vediamo, infatti, si nasconde un universo di invisibili particolari, una visione inattesa di ciò che ci sfugge e che solitamente resta al di là del nostro sguardo. È in questa tensione tra leggerezza e profondità che si riconosce la sua poetica.
Gli orsi piumati, apparsi per la prima volta nel 2008, ne sono l’emblema più potente: un inno alla vita e alla natura, nati dall’esperienza in Alaska, terra dove l’orso è presenza quotidiana e quasi spirituale, e divenuti nel tempo anche un riflesso delle urgenze ambientali.
“La loro allegra bellezza e le loro pose tenere diventano inaspettatamente strazianti se pensiamo allo status di specie in via di estinzione di questi giganti artici”, dichiara il curatore dell’AGWA Robert Cook.
“Ho iniziato a creare queste sculture nel 2006, quando mi sono trasferita in Alaska – racconta Pivi –. Vivere lì significa vivere a casa degli orsi. È un animale con uno spirito tangibile, fortissimo, che mi attrae e al tempo stesso può spaventare. Il primo orso piumato l’ho realizzato nel 2008. All’epoca già si parlava di riscaldamento globale, ma non come oggi che lo sentiamo tutti sulla nostra pelle. Così, a poco a poco, questi orsi, nati come un’ode all’animale, alla natura, alla vita, sono diventati anche veicoli di quel messaggio sul problema del pianeta”.
Percezione che, come ricorda l’artista, è sempre soggettiva: “Le opere vivono attraverso le reazioni di chi le incontra”, ripete Pivi. Così è stato, ad esempio, per Money machine (true blue, baby I love you), installazione gigantesca simile a una cassaforte blu da cui, ogni minuto, fuoriesce una moneta o una banconota, da un centesimo a cento dollari. A New York i visitatori si divertono, raccolgono i soldi senza esitazioni, tornano più volte per vedere cosa succede. A Bologna, invece, l’esperimento si capovolge: gli italiani si vergognano persino a chinarsi per prendere cinquanta centesimi. “Bisognava quasi costringerli”, racconta Pivi. Due città, due realtà, due mondi lontanissimi, rivelati da un gesto semplice come prendere o non prendere dei soldi.
È da questa libertà di significato che nasce una carriera costellata di progetti capaci di unire rigore concettuale e visione. Dall’aereo Piper Seneca sollevato sulle punte delle ali a New York, ai 25mila meme sul Covid proiettati a Marsiglia, fino alle zebre tra i ghiacci o ai camion ribaltati. Una pratica trasversale che attraversa scultura, installazione, fotografia e performance, e che si nutre della capacità di rovesciare le convenzioni. “L’arte è in grado di apportare una quantità di esperienza in un tempo istantaneo. In quel piccolissimo lasso di tempo si può percepire un’intera vita”, asserisce Pivi.
Non sorprende allora che anche i titoli delle sue mostre abbiano un ruolo centrale. A crearli è spesso il marito, il musicista e cantautore Karma Culture Brothers, capace di costruire con le parole piccole realtà. Per Paola Pivi quei titoli sono veri e propri portali: condensano in poche sillabe lo spirito della mostra e accompagnano lo spettatore nella disposizione ideale per accoglierla, liberi da costrizioni, aperti alla sorpresa. “Sono come pillole di comunicazione che preparano lo spettatore ad aprirsi, a vivere l’esperienza in totale rilassatezza”, spiega. Così nascono titoli ironici e disarmanti come quello dell’esposizione all’AGWA, I don’t like it, I love it, scherzosi ma densi di significato.
Quanto ai consigli, Pivi rifugge dalle risposte semplici, soprattutto per i giovani artisti. “Il mondo, in questo momento, è in un abisso tremendo. Non direi loro di inseguire un modello, ma di separarsi da questa oscurità, di mandare al diavolo ciò che è stato fatto e andare avanti”.
L’arte, per lei, resta un luogo di libertà radicale, capace di aprire squarci in un presente sempre più asfittico. “È difficile esprimersi oggi, ma quando succede è qualcosa di vitale”.
E intanto nuove sfide si affacciano all’orizzonte. Dopo la grande esposizione all’Art Gallery of Western Australia di Perth – che da novembre ad aprile trasformerà il museo in un percorso tra gonfiabili monumentali e installazioni storiche –, Pivi porterà il suo lavoro a Parigi, con una personale alla galleria Perrotin prevista per marzo e a Montréal, con un progetto per la Fondation Phi, previsto per aprile 2026. Ogni tappa è un nuovo pubblico e un nuovo punto di vista, un’altra occasione per sorprendere e per sorprendersi, con la stessa forza e irruenza visionaria che da sempre attraversa la sua carriera.