Il nostro compito non è riuscire ma fallire nelle migliori condizioni di spirito possibile”: Paolo Sorrentino prende in prestito una frase dello scrittore Robert Louis Stevenson per descrivere il suo stato d’animo. “E’ un gioco, se non vinci ci rimani male, ma io sono sereno e felice, avevo capito perfettamente che non avrei vinto, che il premio sarebbe andato a ‘Drive my car’ peraltro un bellissimo film. All’epoca de ‘La grande bellezza’ avevo sperimentato la procedura d’entusiasmo intorno a un film e ora non c’era”. 

La notte magica degli Oscar rivelatasi imprevedibile, il party fino all’alba e poi il ritorno a mani vuote ma, detto con il senno di poi, nessuno ci credeva davvero. E’ andata com’è andata comunque è stato un successo essere lì: la squadra italiana a Los Angeles non ha vinto nessuna delle statuette per le quali era candidata ma non c’è disappunto. Sorrentino lo aveva detto sin dal giorno della nomination a miglior film straniero per “E’ stata la mano di Dio”: “Stavolta non sono il favorito, gioco dalla panchina, tutto porta verso ‘Drive my car’, ma è una vittoria entrare in cinquina, questo è un piccolo film che ha fatto molto di più di quello che si poteva immaginare, il cammino fatto è meraviglioso”. 

Della cerimonia Sorrentino confessa di aver mancato il momento clamoroso dello schiaffo di Will Smith a Chris Rock, “ero uscito a fumare me lo hanno raccontato, ma non entro nel merito, non giudico, mi faccio i fatti miei, ognuno si fa gli ‘schiaffi’ suoi” e poi ride quando gli si racconta che “E’ stata la mano di Dio” è diventata anche un meme per indicare il gesto violento di Smith.

Fosse stato per lui avrebbe vinto “Licorice Pizza” di Paul Thomas Anderson: “Era il mio preferito”. E il vincitore “Coda”? “Non mi fate fare il critico, voglio parlare solo dei film che mi hanno entusiasmato”. Piuttosto su una cosa Sorrentino si sbilancia, sul disagio di essere stato in una situazione frizzi e lazzi in piena guerra. “Stai al gioco e giochi, ma non era il momento ideale per me per andare agli Oscar, lì forse si sente meno, la distanza conta, io da europeo la sento di più questa guerra, è stato imbarazzante essere lì, avevamo io e e altri la coccarda, una cosa doverosa, un segno. Non voglio fare politica, a malapena riesco a parlare di cinema, da cittadino come tutti sono contro la guerra, trovo paradossale quello che sta accadendo ma non faccio analisi. Comunque sarà anche per quello ma a me è sembrata una edizione sottotono”. 

La trasferta è stata lunghissima, alla fine quasi sette mesi, prima a New York poi a Los Angeles, prima ancora della nomination in altre località, una campagna con l’impegno di Netflix tesa a valorizzare il suo film più personale: “Ma ora il cerchio si è chiuso, ho postato alla vigilia della notte degli Oscar la foto di mia madre e me bambino con la dedica a lei, perchè i film durano tanto nella testa e nella vita ma ad un certo punto devono finire. E l’avventura è finita qui, l’approdo di un percorso”. 

La serata della notte degli Oscar, con la moglie Daniela, il figlio Carlo, il protagonista Filippo Scotti, e Luisa Ranieri (nella foto), è stata vissuta, racconta, con uno spirito diverso: “Otto anni fa ero a bocca aperta, a godere i lati meravigliosi, stavolta ho notato altro, ho guardato tutto con più distacco e notato cose che mi facevano ridere”.

Il progetto americano di “Mob Girl” con Jennifer Lawrence pare di capire sia ancora in stand by: “Non ho ancora prossimi progetti, tante cose sono in piedi, per ora non ho questa fretta di tornare a fare un film, mi sono fatto grandicello e ho voglia di fare film con calma e diradare le presenze”. Così l’immediato futuro è riposo, meglio se al mare, l’importante è non disunirsi.

Niente da fare per l’Italia dunque, in un’edizione dominata da “Coda”, che ha vinto l’ambita statuetta in tutte le categorie per cui era in corsa (miglior film, sceneggiatura non originale e attore non protagonista con Troy Kotsur). A mani vuote anche Massimo Cantini Parrini, in lizza per i migliori costumi per “Cyrano”, ed Enrico Casarosa candidato per il film d’animazione “Luca”. La neozelandese Jane Campion, terza donna in assoluto a vincere per la migliore regia dopo Kathryn Bigelow e Chloe Zaho, ha vinto l’Oscar per la migliore regia per il western “The Power of the Dog” primeggiando su un lotto di candidati che includeva Steven Spielberg e Kenneth Branagh.

Detto della statuetta assegnata a Kotsur come miglior attore non protagonista per “Coda”, Ariana DeBose ha vinto quella come miglior attrice non protagonista per “West Side Story”. Tra i riconoscimenti più attesi quello per l’attore e l’attrice protagonista assegnati in questa edizione rispettivamente a Will Smith (“King Richard”) e Jessica Chastain per il film “The Eyes of Tammy Faye”, accompagnata quest’ultima sul palco delle premiazioni da una standing ovation.

A dispetto delle attese della vigilia, con la presenza tra le candidature della veterana, e già premiata con l’Oscar nel 2002, Nicole Kidman tra le attrici protagoniste per “Being the Ricardos” e Kodi Smit-McPhee, non protagonista in “The Power of the Dog”, l’Australia si è dovuta accontentare della statuetta assegnata a Greig Fraser per la miglior fotografia di “Dune”.

Ritornando all’Italia, anche Lina Wertmuller è stata ricordata nel tradizionale tributo agli artisti scomparsi nel corso dell’anno. Ricordati anche Sidney Poitier, William Hurt, Olimpia Dukakis, Peter Bogdanovich, Jean Paul Belmondo, Betty White, Ivan Reitman, Martha De Laurentiis e Halyna Hutchins, la direttrice della fotografia del film “Rust” cui ha involontariamente sparato Alec Baldwin.