BUENOS AIRES – Una lezione-conferenza su Pellegrino Artusi, sulla sua opera e soprattutto sulla sua attualità. È l’omaggio organizzato al Círculo Italiano in occasione della Settimana della cucina italiana nel mondo e condotto da Sol de Brito.

Ospite d’onore, lo chef napoletano Luigi Iavarone, proprietario di ristoranti e pasticcerie a Buenos Aires e Punta del Este, in Uruguay. L’unico, in capitale, a fare le sfogliatelle con la ricotta, come nella ricetta tradizionale napoletana, e non con la crema pasticcera.

Avrebbe approvato Pellegrino Artusi, che ha dedicato la vita a raccogliere e sistematizzare i piatti tipici delle diverse zone della penisola italica. L’Italia come Stato ancora non esisteva nel 1820, anno di nascita dell’autore, originario di Forlimpopoli (Forlì).

Artusi vive il periodo del Risorgimento e dell’unificazione. In un certo senso, possiamo dire che ha fatto con la cucina italiana quello che Manzoni ha fatto con la lingua: ha creato un canone.

Il suo libro La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, la cui prima edizione (autofinanziata), risale al 1870, raccoglie 475 ricette di tutta Italia (che nell’ultima edizione, del 1911, diventano 790).

“Nel libro si parla anche di povertà e benessere, delle mutazioni del gusto, di modelli stranieri contrapposti ai localismi, della nascente industria alimentare” osserva de Brito. Ogni ricetta viene introdotta da aneddoti e consigli, che nella lezione al Círculo Italiano sono stati commentati, nella prospettiva della scienza gastronomica attuale, da Luigi Iavarone.

“Artusi si dedica alla cucina perché non era riuscito a diventare scrittore” osserva lo chef. E questo spiega perché La scienza in cucina è molto più di un ricettario e ha un valore anche letterario.

“Le ricerche di Artusi si concentrano soprattutto nel triangolo tra Firenze, Bologna e la Romagna, con incursioni in Lombardia e a Roma” dice Iavarone. Gli è stato rimproverato di aver trascurato Sicilia e Sardegna. “Ma doveva viaggiare a spese proprie – dice ancora il cuoco –. E all’epoca l’Italia era divisa, non era facile procurarsi i documenti per spostarsi da un territorio all’altro”.

Non a caso, tra la prima e l’ultima edizione, il numero di piatti si allarga perché erano le casalinghe dell’epoca a mandargli le ricette di famiglia. “Che lui provava sempre, prima di inserirle nel libro” aggiunge Iavarone. Un uomo che cucinava ma che non si è mai sposato. Tanto che sceglie come eredi la sua governante Marietta Sabatini (o Sabadini) e il maggiordomo Francesco Ruffilli.  

Rispetto alla diatriba sul vino rosso e bianco tra Artusi e l’antropologo e medico Paolo Mantegazza, suo contemporaneo, Iavarone si inserisce in modo dirimente. “Per quanto mi riguarda, il vero vino è quello rosso” afferma.

In tante cose è stato un precursore, e ci appare straordinariamente moderno. “Il libro, per esempio, è dedicato ai suoi due gatti” dice Sol de Brito. Una sensibilità animalista insolita per l’epoca. Oggi lo definiremmo un antispecista, ma forse era solo uno scapolone un po’ solo, i cui rapporti con l’altro sesso erano stati influenzati dalla vicenda della sorella, che aveva subito da giovanissima uno stupro ed era finita in manicomio. 

L’incontro è stato animato dalla mezzosoprano Sandra Pianigiani che, accompagnata dalla pianista Victoria Lamberti, ha cantato varie canzoni tra cui un repertorio appartenente alla tradizione napoletana (Funiculì funiculà, O sole mio, Torna a Surriento…).