BUENOS AIRES - Nell’ambito della Settimana della cucina italiana nel mondo, il Circolo Italiano di Buenos Aires ha ospitato una serata speciale dedicata al romagnolo Pellegrino Artusi.  

Ospite d’onore è stata Monica Alba, ricercatrice dell’Università di Urbino “Carlo Bo”, specializzata in linguistica italiana e nella storia del linguaggio culinario, nonché profonda conoscitrice dell’opera di Pellegrino Artusi. 

L’incontro è stato possibile grazie al sostegno della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo, della Regione Emilia-Romagna, della città di Forlimpopoli e di Casa Artusi, di cui fa parte lo chef Filippo Cavalli che si è occupato della cena servita durante l’incontro. 

Per Monica Alba parlare di Artusi e della lingua della cucina italiana è non solo un lavoro, ma un’autentica passione coltivata negli anni. 

La studiosa ha aperto il suo intervento ricordando come, per gli abitanti della Penisola, il cibo sia da sempre un elemento identitario di straordinaria forza. In Italia il cibo non si limita a essere preparato e consumato: viene condiviso, celebrato, festeggiato. È, soprattutto all’estero, il simbolo più vivace dell’italianità. 

Non sorprende, ha spiegato, che parole come pizza, tiramisù, carpaccio, spaghetti si siano diffuse in decine di lingue, fino quasi a perdere la percezione della loro origine italiana. Questo prestigio globale si deve sì alla ricchezza della tradizione gastronomica, ma anche ad alcuni autori che hanno saputo traghettare ricette e parole oltre i confini nazionali. Primo fra tutti: Pellegrino Artusi. 

Nell’immaginario collettivo, Artusi è l’autore del grande classico La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, un libro che oltre un secolo dopo la sua prima pubblicazione, nel 1891, continua ad appassionare lettori, gastronomi e linguisti. Fu proprio Artusi il primo a dare dignità letteraria e scientifica alla cucina e, soprattutto, il primo a esprimerla con una lingua viva, comprensibile e moderna. 

Uno dei contributi più significativi dell’autore fu la scelta linguistica. Artusi comprese che l’Italia unita aveva bisogno di una lingua condivisa, anche in cucina, e trovò nel fiorentino – dopo attenti studi e anni trascorsi a Firenze – il modello ideale. 

La sua fu una vera operazione di semplificazione e modernizzazione: evitò tecnicismi e arcaismi, limitò l’uso dei dialettismi e adattò con giudizio i termini stranieri.  

“È stato il primo vero e proprio romanzo della letteratura gastronomica italiana – dice Alba –. Artusi stravolge il concetto di ricetta, che è un testo prescrittivo, cioè detta delle regole, e lo fa diventare un testo narrativo. Le sue ‘ricette sembrano storie, sono ricche di aneddoti”.  

In un certo senso fu il primo “influencer” della gastronomia italiana. Alba ha ricordato come l’opera, dalla prima pubblicazioni del 1891, diventò un best seller, attraversò un vero “ventennio artusiano”, con ben quindici edizioni entro il 1911.  

Eppure, la figura di Artusi è rimasta a lungo avvolta da leggende: chi lo immaginava cuoco, chi banchiere. In realtà era un commerciante, che solo in età avanzata decise di dedicarsi alla scrittura. 

L’immagine più autentica dell’Artusi, ha raccontato Alba, arriva da una preziosa intervista del 1932, rilasciata da Marietta Sabatini, fedele collaboratrice e cuoca di casa Artusi, che ricordava il suo datore di lavoro sempre chino tra studio e cucina, alternando penna e mestoli con instancabile dedizione. 

Parte centrale della conferenza di Alba è stata proprio dedicata alla figura di Marietta, per lungo tempo rimasta nell’ombra. Originaria delle colline della Valdinievole (a sud-ovest di Pistoia, in Toscana), la giovane domestica – di umili origini ma istruita – divenne cuoca, consigliera linguistica e collaboratrice preziosa di Artusi. 

Grazie alle ricerche più recenti – che la stessa Alba ha contribuito a sviluppare – oggi sappiamo molto di più su di lei, incluso il fatto che fu una lettrice appassionata dei classici italiani e che lasciò numerose testimonianze scritte. Una donna colta, curiosa e determinante nella riuscita dell’opera artusiana, tanto che Artusi le lasciò in eredità parte dei diritti del libro. 

A questa emblematica figura si ispira l’associazione Le Mariette, con la missione di “portare avanti e trasmettere la cucina di casa e le tradizioni romagnole” e insegnare a cucinare, come spiega Manuela Pedrini, rappresentante dell’istituzione, che durante la serata ha fatto una dimostrazione della preparazione di pasta fresca in diverse forme.  

“La pasta rappresenta l'unità nella molteplicità, che è una delle caratteristiche portanti della della cucina italiana. Noi abbiamo un solo termine per nominarla, ma in realtà comprende tantissimi formati”, sottolinea Alba. 

La ricercatrice ha poi guidato il pubblico in un viaggio attraverso l’evoluzione del lessico gastronomico, soffermandosi su vari esempi emblematici: dai cappelletti ai tortellini, fino agli spaghetti, un termine documentato solo dal 1817, ma oggi conosciuto in tutto il mondo. 

Particolarmente interessante il racconto dell’incontro tra pasta e salsa di pomodoro, non così antico come si potrebbe pensare: fu proprio Artusi, con la ricetta 125 della Scienza in cucina, a dare impulso alla popolarizzazione della salsa come condimento per la pasta, contribuendo a farne un simbolo internazionale dell’italianità. 

Concludendo il suo intervento, Monica Alba ha ricordato come La scienza in cucina sia entrata nelle case di milioni di italiani – e soprattutto italiane – arrivando anche in mano alle governanti che si occupavano dell’economia domestica, contribuendo alla diffusione della lingua nazionale tanto quanto libri cardine come Cuore di Edmondo De Amicis o Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi, grazie alla capacità di Artusi di dialogare con i lettori. 

“La percentuale di italofoni attivi, cioè di coloro i quali sapevano effettivamente parlare e comprendere l'italiano, era davvero bassissima”, spiega la ricercatrice, e Artusi era consapevole dell’operazione linguistica che stava compiendo come dimostrato da una sua lettera che Alba ha potuto rintracciare a seguito di diverse ricerche all’interno di un archivio di Vicenza. 

Le informazioni ricavate dai suoi studi hanno fatto luce sulla storia di un uomo che ha trasformato curiosità e interesse in un tema che lo appassionava – la cucina – in qualcosa dal respiro molto più ampio. Un vero e proprio progetto nazionale. 

Le informazioni emerse dai suoi studi hanno restituito profondità e chiarezza alla storia di un uomo che seppe trasformare la curiosità e l’interesse per ciò che amava – la cucina – in un’opera destinata a lasciare un segno ben oltre il suo tempo, capace di influenzare la cultura e la lingua di un intero Paese.