BEIRUT - “È una crisi senza precedenti, non abbiamo mai visto in Libano un così grande numero di sfollati in un periodo così breve, 1,2 milioni di sfollati interni, che si aggiungono ai 2 milioni di rifugiati palestinesi e siriani nel Paese. Per noi si tratta di rispondere a bisogni veramente di base, materassi, coperte, pasti caldi... C’è gente nelle scuole, diventate rifugi improvvisati, che non ha potuto mangiare o lavarsi per giorni”. È il racconto della situazione terribile che si trova ad affrontare Oumayma Farah, direttrice del dipartimento Sviluppo e Comunicazione per l’Ordine di Malta in Libano, che vive a pochi km dai sobborghi di Beirut.  

“Non dormiamo la notte, abbiamo sempre pronta una borsa perché non sappiamo se dovremo evacuare, viviamo nell’ansia perché sentiamo i bombardamenti”, dice al telefono. “La gente vive nelle strade, i rifugi non sono equipaggiati, si usano le scuole per accogliere le persone costrette a lasciare le proprie case. Non sanno dove andare, alcuni dai parenti, o affittano case, ma ci sono anche quelli che non hanno niente. Non dimentichiamoci - sottolinea Farah - che siamo nel quarto anno di una gravissima crisi economica e finanziaria, la gente ha perso tutto e non ha soldi”. 

L’Ordine di Malta è impegnato nella salute e nel welfare sociale dal 1957 e dal 2020 in quello agro-umanitario. In questo frangente, spiega la responsabile, “focalizziamo i nostri interventi nelle aree in cui siamo presenti: nel Paese abbiamo centri in undici comunità, 8 unità mediche mobili, che si occupano principalmente di salute e agricoltura, in tutto 60 progetti sociali. In questo momento, oltre al lavoro quotidiano c’è anche una crisi. Si tratta di rispondere a bisogni veramente di base: materassi, coperte, pasti caldi...”. 

“C’è gente nei rifugi che non ha avuto modo di mangiare per 24 ore, non si sono potuti fare una doccia per quattro e cinque giorni e cominciano a emergere alcune malattie, come scabbia e pidocchi, perché non si possono lavare e dormono tutti insieme. Questo è disumanizzante, e noi cerchiamo di fare di tutto per dare loro almeno una condizione dignitosa in cui vivere” ha spiegato.  

“Le persone di Beirut sono ancora traumatizzate dall’esplosione nel porto di quattro anni fa” aggiunge Farah, raccontando anche che ci sono persone che non vogliono lasciare i propri villaggi al sud. “È importante che la nostra voce venga sentita, la comunità internazionale è troppo silente rispetto a quello che sta avvenendo”, conclude.