Ancora ricorda, con straordinaria lucidità, i vaporetti triestini su cui ha viaggiato da ragazzo, “in tutte le stagioni, con il mare calmo o in burrasca, in tempi di pace e in tempi di guerra, provando l’allegria del momento oppure il mal di mare”.

Mino Favretto, classe ’29, originario di Umago, città sulla penisola istriana, conserva ancora l’energia della giovinezza, la speranza degli anni che furono, il talento nella scrittura che lo porta a rivivere ogni giorno i mesi lontani dedicati alla vendemmia, le giornate in campagna, le mattinate in barca, “finché potrà”, come racconta sorridendo.

Ancora oggi corrispondente australiano per il periodico Umago Viva e del quindicinale Voce Giuliana, Favretto è arrivato a Melbourne nel 1955, in un’epoca di grandi trasformazioni, per raggiungere Ilaria, la sua futura moglie e allora fidanzata, che era giunta nel nuovo continente tre mesi prima, insieme alla sua famiglia; lei aveva diciassette anni, lui già ventisei.

“Quando Mino mi ha incontrata, è stato il più bel giorno della sua vita! – ha esclamato Ilaria Favretto, ridendo di gusto –. Io stavo vivendo gli anni migliori della mia gioventù, lui era molto più grande di me, ma ci siamo innamorati”.

In Italia, Mino aveva ascoltato attentamente il consiglio di suo padre, “impara l’arte e mettila da parte”, e prima di raggiungere l’Australia, aveva già maturato una lunga esperienza come operaio in un cantiere navale. Erano però gli anni della Seconda guerra mondiale e proprio a Trieste gli alleati che avevano diversi campi d’aviazione. “Nel 1943, ho iniziato a lavorare in fabbrica e ricordo benissimo i bombardamenti che si susseguivano nella zona – ha raccontato –. Un giorno, dopo una notte di polvere e fuochi, alla luce del sole, vidi centinaia di operai che correvano da una parte e all’altra con dei secchi: le bombe avevano ucciso i pesci e, in epoca di fame, tutti correvano a mangiare, ci fu cibo per settimane! Ma i bombardamenti si susseguirono per moltissimo tempo, soprattutto ad Istria e a Trieste”.

Nel suo Paese d’origine, Mino Favretto è stato prima apprendista elettricista, poi fabbricatore di orologi soprammobili, piccoli pezzi d’arte in rame, bronzo oppure vetro, impegnandosi in ogni occasione e instancabilmente. “Sono arrivato in Australia quando i centri erano ancora vuoti e completamente anglosassoni – ha continuato –. In treno, se parlavo in italiano con degli amici, ci esortavano a esprimerci in lingua inglese, ‘Speak English!’, urlavano. E prima che nascessero i primi club triestini, ci si incontrava in casa per ricreare una piccola Italia, fuori dall’Italia”.

Quando è arrivato in Australia, non parlando l’inglese come moltissimi migranti italiani, Favretto si è adattato a ogni tipo di professione, fino ad atterrare alla grande esperienza per la costruzione dell’insegna del Sidney Myer Music Bowl, simbolo d’intrattenimento per la capitale del Victoria dal 1959. Il legame con il “grande emporio lucente”, come lo definisce, è durato nel corso del tempo: nel 1969, Mino vi ha portato suo padre, in visita in Australia per un anno, e nel 2004 si è esibita anche sua figlia Gabriella insieme al suo gruppo musicale BABBA, tributo della celebre band svedese ABBA.

Mino Favretto durante la costruzione dell’insegna del Sidney Myer Music Bowl nel 1959

Dopo l’importante lavoro, i soldi però mancavano e Mino era alla ricerca di maggiore stabilità; è fortunatamente arrivata nel corso degli ’70 con l’assunzione presso la storica fabbrica Kodak a Coburg, dove vi è rimasto per più di vent’anni. “Era una compagnia che ti spingeva a fare tantissimo, in tutti i dipartimenti – ha raccontato –. Sono andato in pensione nel ’94, ma sono stato invitato alla grande festa di chiusura nel 2004. Ancora oggi, conservo ricordi meravigliosi perché mi ha garantito lavoro per ben vent’anni e non è scontato”.

Oggi, Mino Favretto riempie le sue giornate con la scrittura, con il giardinaggio e con i lavori casalinghi più svariati, “anche quelli più pericolosi che non dovrebbe fare, ha ancora un’energia pazzesca”, ci tiene a sottolineare sua figlia Gabriella. Ogni tanto si reca al Trieste Social Club, l’ultima volta per la finale degli Europei di calcio e per fare il tifo per l’Italia, mentre soffiava ben 92 candeline sulla sua torta di compleanno. Canticchia ancora ‘Viva la bora che vien e che va’, mentre è circondato dall’affetto immutabile di sua moglie, dei suoi cinque figli Robert, Franco, Gabriella, Sandra e David, e dei tantissimi nipoti. “Sono felice, anche perché nella mia vita ho rappresentato, lavorando di fabbrica in fabbrica, gli operai che entrano alle luce dell’alba ed escono nel buio della sera e dei quali nessuno sa niente”.