MOSCA - “Putin si sente con le spalle al muro e può essere piuttosto pericoloso e sconsiderato”, ha avvertito negli scorsi giorni, in un’intervista alla Cbs, il direttore della Cia, Bill Burns, spiegando che il presidente russo deve “essere preoccupato non solo di ciò che sta accadendo sul campo di battaglia in Ucraina, ma anche di ciò che sta accadendo in patria e a livello internazionale”, dopo che la Cina ha rifiutato qualsiasi supporto militare nei confronti di Mosca e fatto capire a Putin che è arrivato il momento di mettere fine al conflitto.
La situazione in cui si trova oggi il capo del Cremlino è dunque sempre più critica e questo, secondo Bruns, alza il livello di pericolo. A confermarlo sarebbero anche le rivelazioni del Times, secondo cui il presidente russo sarebbe pronto ad un inquietante e disperato gesto dimostrativo, attuando un test nucleare al confine con l’Ucraina. Il quotidiano britannico cita un’informativa di intelligence inviata dalla Nato agli Stati membri, nella quale si avverte di possibili prove di forza di Mosca attraverso simulazioni che prevedono l’impiego di testate nucleari. Stando a una fonte di alto livello della difesa occidentale citata dal Times, la dimostrazione di forza più probabile da parte di Putin tramite il ricorso a ordigni atomici avverrebbe nel Mar Nero. “Non è impossibile”, tuttavia, che il leader del Cremlino possa utilizzare un’arma nucleare tattica in Ucraina. E a questo fanno pensare le notizie diffuse domenica di un treno militare della divisione nucleare russa che sarebbe in movimento in direzione della frontiera. Ma le informazioni in questo senso sono contrastanti e, a quanto pare, le ultime geolocalizzazioni del convoglio lo darebbero ancora nella regione di Mosca, molto distante dal confine ucraino.
Inoltre, sulla preparazione di una provocazione nucleare, le intelligence alleate restano caute e fanno sapere che “non c’è nessuna indicazione che le forze armate russe stiano mobilitando mezzi o personale connessi al loro arsenale nucleare: tutto al momento è nella norma”. Insomma, per adesso non sembra che Putin stia davvero pensando ad alzare il livello dello scontro fino al punto di non ritorno, con l’impiego di armi nucleari, tanto che al Cremlino non sono affatto piaciute nemmeno le esternazioni del comandante ceceno Ramzan Kadyrov, che qualche giorno fa esortava Putin ad usare le armi nucleari ed è stato costretto ad una frettolosa rettifica delle sue affermazioni.
Nonostante ciò, le parole pronunciate all’Onu da Konstantin Vorontsov, vicedirettore del dipartimento per la non proliferazione e il controllo delle armi del ministero degli Esteri di Mosca, secondo il quale il sostegno militare degli Stati Uniti all’Ucraina “spinge la situazione più vicina al pericoloso punto di un confronto militare diretto tra Russia e Nato”, non contribuiscono certo ad abbassare la tensione e non si capisce che utilità abbiano le minacce e controminacce che tanto la Russia, quanto la Nato, continuano a lanciarsi dall’inizio del conflitto, se non quello di aggravare ancora di più la situazione.
Tra i più attivi in questo esercizio è da sempre il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che anche pochi giorni fa ha detto che “qualsiasi uso di armi nucleari comporterà conseguenze serie per la Russia”. Quali siano queste conseguenze non lo dice, ma di certo ieri l’Ucraina ha presentato ufficialmente la sua domanda di adesione all’Alleanza, mentre sia la Duma che il Senato russo hanno ratificato i referendum di annessione. Entrambi atti che allontanano qualsiasi speranza di negoziato, tanto più che Zelensky ha anche firmato la decisione del Consiglio di sicurezza ucraino in cui si afferma l’impossibilità di negoziare con il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.
Un altro passetto che allontana da una pace che oggi non sembra volere nessuno, soprattutto a Kiev, visto che l’offensiva delle truppe ucraine continua a conseguire risultati importanti. Oltre ad essere penetrati nel Lugansk, le truppe gialloblù stanno facendo progressi anche nella regione di Kherson, dove hanno liberato diverse località tra cui Dudchany, sulla riva ovest del fiume Dniepr. Davanti alla sconfitta anche il ministero della Difesa russo ha dovuto ammettere che “le linee di difesa sono state penetrate” e che l’entità della ritirata è importante. A permettere i successi dell’offensiva, dicono i generali russi, sono le “soverchianti unità blindate” ucraine e i missili Himars forniti dagli americani e non a caso martedì il presidente Usa, Joe Biden, ha chiamato Zelensky rinnovando l’impegno a sostenere l’Ucraina “per tutto il tempo necessario”, annunciandogli anche l’invio di nuove armi per 625 milioni di dollari.
Di pace e negoziati in queste telefonate non si parla nemmeno più e uno dei pochi che invece continua estrenuamente a farlo è papa Francesco, che domenica ha dedicato l’intero Angelus alla guerra in Ucraina, come aveva fatto solo per la Siria nel 2013. “Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati” ha detto il Pontefice. “Il mio appello si rivolge innanzitutto al presidente della Federazione Russa, supplicandolo di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte”, ha continuato Francesco, che ha chiesto anche a Zelensky di “aprire a proposte di pace”.