TEL AVIV – Sono stati giorni intensi nello Studio Ovale della Casa Bianca, dove nei giorni scorsi si è assistito a uno degli incontri più significativi dell’anno, tra il presidente degli Stati Uniti e il suo omologo israeliano.
Donald Trump ha sottoposto a Benjamin Netanyahu una serie di condizioni per riportare la pace in Medio Oriente, con una proposta in 20 punti e l’invito, poi accettato dal primo ministro di Tel Aviv, di scusarsi con il governo del Qatar per i raid su Doha contro i leader di Hamas.
Sotto la pressione americana, il leader israeliano ha chiamato il premier del Qatar Mohammed bin Abdulrahman al-Thani per scusarsi della violazione della sovranità del Paese e per l’uccisione di una guardia di sicurezza qatariota. Un gesto accolto positivamente da Doha, ma che ha irritato gli esponenti dell’estrema destra israeliana, come il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir.
La Casa Bianca ha chiarito di attendere una risposta da Hamas alla proposta di pace entro “tre o quattro giorni” e, nel caso di rifiuto, Washington avrebbe già accordato a Israele il “pieno appoggio degli Stati Uniti” e il “diritto [di] completare il lavoro” per annientare l’organizzazione. Donald Trump ha poi chiarito che, se Hamas respingerà il piano, “espierà all’inferno”. Benjamin Netanyahu, nel frattempo rientrato in patria, ha rivendicato che il progetto americano non contenga alcun riferimento alla creazione di uno Stato palestinese, assicurando che gli ostaggi verranno recuperati e che “l’esercito israeliano rimarrà nella maggior parte della Striscia”. Ma internamente il primo ministro israeliano deve parare i colpi dei falchi che sostengono il suo governo, dopo che il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich lo ha accusato di “un clamoroso fallimento diplomatico”.
Le condizioni di pace presentate dalla Casa Bianca sono piuttosto precise: se approvate, la guerra dovrebbe cessare immediatamente ed entro 72 ore tutti gli ostaggi israeliani dovrebbero essere liberati, vivi o morti, in cambio della scarcerazione di 250 prigionieri ergastolani e 1.700 cittadini di Gaza detenuti dal 7 ottobre 2023. Le forze israeliane si dovrebbero ritirare gradualmente e lasciare la gestione della Striscia nelle mani di un comitato palestinese tecnocratico con la supervisione internazionale di un organismo, il “Board of Peace”, capeggiato da Donald Trump con la partecipazione di altri leader, tra cui l’ex primo ministro inglese Tony Blair.
Hamas, da parte sua, dovrebbe consegnare tutte le armi e accettare la smilitarizzazione di Gaza. Rimane il nodo della Cisgiordania; il piano americano, infatti, non contiene alcuna menzione a un eventuale impegno israeliano a rinunciare all’annessione di quella parte di territorio, elemento che continua a pesare sull’esito dei negoziati.
La reazione internazionale è stata positiva, con l’Autorità Nazionale Palestinese che ha parlato di “sforzi sinceri e determinati” da parte di Donald Trump. Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Pakistan, Turchia, Qatar ed Egitto hanno firmato una dichiarazione congiunta per esprimere la propria intenzione a cooperare positivamente al piano.
Sostegno anche dalla presidente dell’Unione Europea Ursula von der Leyen, che si è detta “pronta a contribuire” e da Giorgia Meloni, mentre l’Egitto, pur sostenendo la proposta americana, ha ribadito che la pace duratura può passare unicamente attraverso la soluzione dei due Stati. Vicina a quest’ultima posizione anche la visione di Anthony Albanese, che ha accolto il piano americano a 20 punti come un primo passo verso la pace. Di senso opposto le dichiarazioni della Jihad Islamica, che ha definito il piano la “ricetta per una continua aggressione contro il popolo palestinese”, accusando Israele di usare gli Stati Uniti per ottenere con la diplomazia ciò che non è riuscito a ottenere con la guerra.
Ancora poco chiara la posizione di Hamas, con alcune indiscrezioni che parlano di profonde divisioni interne; la Bbc ha riferito di una “fonte di alto profilo” che riterrebbe “improbabile” un via libera, mentre dal Qatar giungono segnali più concilianti, secondo cui le fazioni armate della Striscia sarebbero “propense a dire di sì”. Prima di prendere una decisione, i vertici dell’organizzazione terroristica avrebbero chiesto chiarimenti su tre punti fondamentali contenuti nella proposta americana: la garanzia che la guerra non riprenda dopo il rilascio degli ostaggi, la tempistica del ritiro israeliano e la sicurezza personale dei leader destinati all’esilio.