Furono i koala che per la prima volta fecero sognare l’Australia a quel bimbo allora poco atletico, dalle caviglie delicate che inciampava così spesso che fu costretto a indossare le scarpe ortopediche. “Erano personaggi di un cartone animato che guardavo quando avevo 8 o 9 anni. Allora mi innamorai di quel Paese e ho sempre desiderato vedere l’Australia”.

Pino il sogno lo realizza nel 2000. Quando sbarca dall’aereo che conduce gli atleti della spedizione italiana alle Olimpiadi di Sydney, Maddaloni ha 24 anni e due medaglie d’oro consecutive ai campionati europei annuali, categoria 73 kg. Però Pino non è considerato un favorito perché il judo, si credeva all’epoca, non era roba per europei.

Ma c’è una cosa che farà la differenza: la fame dello scugnizzo a cui nulla è regalato e che fin da piccolo è abituato a lottare contro tutto e tutti, a partire dai pregiudizi. Pino Maddaloni è nato e cresciuto a Scampia, quella periferia a nord di Napoli che di luogo incantato, ancor più negli anni della sua gioventù, ha ben poco.

Il sacrificio, quello che ti può portare lontano, Pino lo ha impresso nell’anima come valore di nascita, e lo ha affinato sul tatami, ovvero il tappeto di gomma sul quale si pratica l’arte marziale del judo. A metterlo lì a poco più di due anni, il papà Gianni che di quella disciplina filosofico-sportiva è un maestro.

“Ricordo che quando sono arrivato a Sydney sono rimasto colpito dalla bellezza della città. Ero talmente felice di essere lì, di vedere quel luogo che avevo sognato da bambino, che mi sembrava di camminare a un metro da terra. Poi tutto intorno c’era quella magia dell’atmosfera olimpica…”.

Quando va in giro, fra un allenamento e l’altro, Pino cammina per lo più con la divisa della nazionale. “Non dimenticherò mai l’affetto della gente. Un supporto incredibile. Un po’ come essere a casa lontano da casa. In quei momenti sentire persone intorno a te che ti salutano, ti sostengono, ti fanno gli auguri, sentire il calore della comunità italiana che ti è vicina, è importante. L’Australia per me si è mostrata fin da subito come un paese amico”.

Paese amico ma lontano e non certo economico da raggiungere. Per seguire il figlio nella trasferta più importante della sua carriera, papà Gianni è costretto a vendere la sua moto. E pochi altri amici e sostenitori riusciranno a permettersi il viaggio oltreoceano in quella nazione che, proprio nel 2000, cercava di rinsaldare i rapporti con gli aborigeni facendo sfoggio della loro cultura e della loro arte anche alla cerimonia d’apertura dei giochi olimpici.

Lunedì 18 settembre di quell’anno 2000, Pino fa il suo debutto olimpico. Chissà se in quelle ore precedenti l’inizio della lunga galoppata verso la medaglia, Pino ricorda quel cartone animato e i suoi koala. Di certo, però, pensa alla sua Scampia e ai sacrifici che ha fatto per arrivare lì. Il judo non è uno sport ricco. Non paga salari d’oro. E chi lo pratica lo fa a sue spese, sia a livello economico, sia a livello personale. Pino ha davanti a sé il primo sfidate, stessa categoria di peso (73 kg) ma più grosso di lui. L’italiano non è il favorito. “Ma nella mia vita non sono mai stato il favorito. Dicevano sempre che era troppo presto per dire che ero bravo. E io ho sempre lottato”. E poi ha vinto.

Pino elimina un samoano, poi un tunisino, poi un lettone, poi arriva il momento del bielorusso Laryukhov. L’incontro si mette male. Il judo è un po’ come la boxe: o si vince ai punti o si vince perché si mette l’avversario al tappeto. E in semifinale Pino sta perdendo ai punti. “Mancavano 45” alla fine, ero in lacrime vedendo in televisione mio fratello che stava per essere sconfitto - racconterà in seguito Marco Maddaloni - così corsi nell’altra stanza presi il santino di Padre Pio e quello della Madonna, li piazzai sulla televisione e boom…”. Pino fa ko a pochi secondi dal gong conquistando la finale contro un atleta brasiliano. Anche lì, nonostante tutto, l’italiano non è considerato il favorito. Ma lui ricorda: “Non volevo perdere”.

La sconfitta, per chi come lui ha sacrificato tanto ed è cresciuto lottando, è qualcosa che non ci si può permettere. Soprattutto perché in ballo non c’è solo un oro, ma un oro per Scampia, la città che ha bisogno di simboli che mostrino ai ragazzini che pensano di non aver futuro, come il sacrificio, la determinazione, la voglia di vincere, possano superare tutto e tutti, pregiudizi e camorra inclusi. E allora Pino fa quello che deve fare. Fa quello che il suo destino ha deciso debba avvenire proprio in Australia, nella terra che sognava da bambino: vince. Impazzisce di gioia, salta sul tatami, e scoppia in lacrime quando ascolta l’inno nazionale italiano.

Da allora sono passati vent’anni e Pino continua la sua carriera di judoka e in polizia. Oggi è assistente capo e responsabile della sezione giovanile di judo delle Fiamme Oro Napoli. “Un altro sogno che si realizza”. Non solo. Pino continua l’impegno sociale per la sua Scampia attraverso lo Star Judo Club di Napoli, la palestra di papà Gianni dove anche lui ha iniziato la carriera e dove lo scopo principale resta togliere i ragazzi dalla strada e dalle lusinghe della criminalità organizzata. Insegnare loro il valore del sacrifico e dello sport. Combattere, ma sul tatami, proprio come Pino.

“Sydney ha cambiato la mia vita. Nulla è stato più come prima”. Ma qui non ha realizzato il suo sogno. “No. Il mio sogno era quello di riuscire a fare bene nel judo. Quello che ottenni a Sydney è tutt’altro. Va molto oltre quelli che erano i miei sogni”. Pino Maddaloni porta Sydney nel cuore, nella memoria, sulla pelle, dove ha tatuato il simbolo olimpico scelto per quell’anno, e per mano: la sua secondogenita, nata nel 2015, si chiama proprio Sydney. Però da allora l’atleta italiano qui non è più tornato. “E questo è un gran rammarico perché avrei voluto farlo spesso e spero di riuscirci al più presto”. 

Se non ci fosse stato il COVID-19, in verità, Pino sarebbe tornato quest’anno. “Ho molti amici a Sydney e stavamo preparando un evento per ricordare le Olimpiadi. Avevamo pensato di radunare 50 bambini nati nel 2000 e organizzare una bella giornata di sport da concludere con l’esposizione della medaglia d’oro che ho conquistato quell’anno. Purtroppo è andata male. Ma organizzeremo l’evento appena sarà possibile, magari il prossimo anno. E io sarò finalmente lì”. E questa volta, i koala, Pino potrà vederli dal vivo.