Parlare di elezioni con quasi metà della popolazione australiana alle prese con due incredibilmente lunghi e severi lockdown e un numero giornaliero record di infezioni da coronavirus per un Paese che solo fino a pochi mesi fa era indicato come l’unico che era stato capace di tenere sotto scacco la pandemia, potrebbe sembrare fuori luogo. Eppure gli strateghi liberali sembrano non avere ancora escluso del tutto la possibilità di andare alle urne ad inizio estate invece che a fine autunno. 

È uno dei vantaggi del primo ministro in carica poter scegliere la data del voto: una flessibilità che, per rispettare il mandato di un massimo di tre anni per i deputati e del ciclo dei sei anni per i senatori – con rinnovo di metà del Senato abbinato alle elezioni dei colleghi della Camera –, è iniziata il primo di luglio di quest’anno e si concluderà il 21 maggio del prossimo. 

Fino all’inizio dell’autunno, con il bollettino giornaliero dei zero contagi in tutto il Paese, che aveva fatto parlare con prematuro ottimismo già di un dopo-pandemia, la riconferma di Scott Morrison, verso la fine di questo 2021, era l’ipotesi più gettonata: economia rampante, disoccupazione in calo in tempi record, piani accelerati per una vita post-Covid. Poi, invece, l’improvviso ritorno alla realtà e, soprattutto, alla realtà degli errori commessi di sottovalutazione dell’avversario e della non adeguata preparazione a combatterlo con i vaccini.

Storia che ormai conosciamo benissimo, ma storia che è anche cambiata con una certa rapidità, grazie in modo particolare alla crisi del New South Wales, abbinata all’ennesima ricaduta del Victoria, che hanno imposto severe restrizioni e hanno costretto Canberra a cambiare registro e tattica. Ora si vaccina davvero, ci sono obiettivi da raggiungere e ci sono di nuovo opportunità politiche per ‘sfruttare’ un possibile momento favorevole per il primo ministro.

Si è socchiusa così una nuova finestra elettorale, secondo alcune voci che arrivano da Canberra, per dicembre. E le ragioni sono abbastanza semplici: il possibile raggiungimento, con qualche settimana di anticipo, di quel traguardo del 70-80 per cento di immunizzazioni su scala nazionale; le riaperture dei confini statali prima di Natale; le prospettive di una graduale ripresa dei collegamenti aerei con l’estero via ‘Green pass’; un pressoché fulmineo rimbalzo economico, come era già stato ad inizio anno (e come previsto anche dalla Banca centrale, anche se alcuni esperti parlano di eccessivo ottimismo) e, soprattutto, ci si augura un periodo di relativa tregua dei contagi prima di una possibile risalita delle infezioni dopo il periodo estivo, dovuta proprio a quella che ormai un po’ tutti indicano come la nuova normalità di convivenza con il virus. Convivenza che, come indicato anche dello studio Doherty, diventato il vademecum per la ripresa, prevede ‘accettabili nei numeri’ ospedalizzazioni e  perdite di vite umane.

L’Australia insomma insegue sempre con una stagione di ritardo, o di vantaggio, quello che succede nell’emisfero nord. Ed è un gran peccato che, come era già successo nel 2020, non abbia mai sfruttato al meglio, con una maggiore tempestività d’intervento, gli esempi da seguire e gli errori da evitare.

Opportunità quindi che si sta valutando in sala di strategia elettorale per usufruire del vantaggio di poter scegliere la data, che offre maggiori possibilità di successo, della sfida alle urne: le quotazioni salgono per marzo, che sembra essere preferito all’anticipo di dicembre, ma soprattutto al termine ultimo di maggio, ora abbinato ai rischi della convivenza con il Covid (e le sue inevitabili conseguenze sanitarie), ma anche alle pressioni per un nuovo budget anticipato che metterebbe a nudo un aggravamento del profondo rosso di gestione, appesantito dall’attuale serie di interventi per fare fronte alla prolungata pausa di ogni attività nei due maggiori Stati del Paese.

Qualche paura anche per possibili nuove varianti del virus, per ulteriori pressioni sul fronte delle spese della Sanità con qualche temuta complicazione con nuovi ritardi anche sul fronte dell’approviggionamento dei vaccini per le ormai scontate terze dosi. 

Marzo e dicembre quindi allo studio per cavalcare la duplice onda di una moderata euforia emotiva con la fine delle restrizioni e il ritorno a qualche tipo di normalità e la praticamente certa nuova ‘euforia’ economica post-lockdown, come già registrato nella prima metà dell’anno, con un’immediata ripresa anche occupazionale dopo la comprensibile attuale frenata.

Lo scorso mese, infatti, l’offerta di impiego è scesa nel New South Wales e nel Territorio della capitale (ACT) del 10-12 per cento, nel Victoria del 6 per cento, ma anche in Queensland, di riflesso, data la dipendenza dello Stato in questione dal turismo, c’è stata una riduzione di opportunità lavorative del 5 per cento. Nonostante la frenata, comunque, grazie al boom di attività che c’era stato alla fine del lungo lockdown nel Victoria dello scorso anno, l’offerta di lavoro su scala nazionale è ancora del 25 per cento superiore a quella pre-pandemia. Ci sono insomma ancora ‘vuoti’ da riempire in certi settori che compensano ampiamente il crollo nei campi dell’ospitalità e del turismo. 

La campagna vaccinale, insomma, nonostante le polemiche tra alcuni governi statali e quello federale sta finalmente prendendo ritmo e consistenza, sta già avendo effetti positivi dal punto di vista degli umori nazionali e rilanciando le ‘chance’ elettorali di Morrison: dicembre, marzo o maggio per la resa dei conti. Comunque sia, il conto alla rovescia è iniziato.