Con un fatturato che sale a oltre 15 miliardi di euro all’anno, la pizza si conferma un tesoro del Made in Italy e un simbolo del successo della dieta mediterranea nel mondo. Un patrimonio celebrato ogni 17 gennaio in occasione del World Pizza Day, la festa mondiale nata nel 2017 quando l’arte dei pizzaioli napoletani venne riconosciuta patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco. Nonostante il moltiplicarsi dell’offerta, la Margherita resta la più diffusa e apprezzata.
La leggenda narra che nel giugno 1889, per onorare la regina d’Italia Margherita di Savoia, il cuoco Raffaele Esposito abbia preparato la “Pizza Margherita”, condita con pomodori, mozzarella e basilico, per rappresentare i colori della bandiera italiana. Da allora è fra le ricette più replicate al mondo dove non c’è pace per la vera pizza Made in Italy con varianti che fanno tremare i polsi a coloro che si scontrato con le versioni più improbabili e i condimenti più bizzarri, dall’ananas alle banane, da quelle condite con la carne di canguro e zebra, oppure con serpenti e grilli, a quella speziata con il pollo tandoori della cucina indiana immerso nello yogurt, fino a quella con la cannabis. La delusione per le pizze nel mondo riguarda diversi aspetti: al primo posto l’impasto, al secondo il sapore e al terzo il tipo di ingredienti utilizzati considerate anche le stranezze diffuse fuori dai confini italiani. Ma tra i motivi di delusione per la pizza all’estero ci sono anche la combinazione insolita degli ingredienti, la cottura errata, il costo elevato, la preparazione e la scarsa digeribilità. Garantire l’autenticità della ricetta e dell’arte della preparazione significa anche difendere un piatto che è parte integrante della nostra tradizione a tavola minacciata nel mondo dalla diffusione di falsi prodotti Made in Italy.
L’etimologia del sostantivo pizza (che non è necessariamente legata all’origine del prodotto) è dibattuta. Esistono varie ipotesi, tra cui la derivazione da pizzo e questo, a sua volta, da un’onomatopea pizz associata all’idea di “punta”. Altre ipotesi sono che derivi da picea (placenta) o pitta nel senso di “pece”. Si è pensato anche a una derivazione dal germanico (longobardo o gotico) dell’alto tedesco d’Italia da cui anche in tedesco moderno bissen “boccone”, “pezzo di pane”, “tozzo di focaccia”. Questa tesi sarebbe pure confermata dall’area di diffusione originaria della parola, che coinciderebbe con il regno e i ducati longobardi di Benevento e Spoleto. La diffusa presenza, ancora oggi, in area mediterranea e balcanica del termine pita, induce alcuni studiosi a cercare nel greco píta l’origine dell’italiano pita, da cui poi pizza. Dal termine pita deriverebbe anche la piadina romagnola e alcuni piatti presenti nel sud d’Italia come la calabrese pitta, un pane bianco a forma di ciambella schiacciata, cotto al forno, e anche la lestopitta grecanica, luoghi rimasti a lungo sotto l’influenza culturale dell’impero romano d’Oriente. Anche lo storico Alessandro Barbero propone una sua derivazione dal termine greco/medio-orientale pita ma attraverso la pronuncia dei Longobardi pitza. Franco Fanciullo e Pierpaolo Fornaro hanno proposto che pizza possa derivare dal greco antico apíkia, “focaccia all’Apicio”, dal nome dell’autore latino di ricette di cucina.
La pizza ha una storia lunga, complessa e incerta. In assoluto, le prime attestazioni scritte della parola “pizza” risalgono al latino volgare della città di Gaeta nel 997. Un successivo documento, scritto su pergamena d’agnello, di locazione di alcuni terreni e datato sul retro 31 gennaio 1201 presente presso la biblioteca della diocesi di Sulmona-Valva, riporta la parola “pizzas” ripetuta due volte.
Già comunque nell’antichità focacce schiacciate, lievitate e non, erano diffuse presso gli Egizi e i Romani. Col nome pizza, praticamente ignoto al di là della cinta urbana napoletana, ancora nel XVIII secolo, si indicavano le torte, quasi sempre dolci. Il napoletano Raffaele Esposito, come abbiamo detto, viene spesso indicato come il padre della pizza moderna. Nel medesimo secolo, grazie agli imprenditori di Napoli, la pizza napoletana divenne la versione più conosciuta adombrando le altre versioni del piatto. Il successo planetario della versione napoletana della pietanza ha portato, per estensione, a definire nello stesso modo qualsiasi preparazione analoga. Oggi la pizza è il secondo alimento più consumato del mondo, seguito dalla pasta. “Pizza” è la parola italiana più famosa, seguita da “ciao”.
La pizza napoletana è l’unico tipo di pizza italiano riconosciuto in ambito nazionale ed europeo. Dal 4 febbraio 2010, infatti, è ufficialmente riconosciuta come Specialità tradizionale garantita dell’Unione Europea.Essa si presenta come una pizza tonda dalla pasta morbida e dai bordi alti (cornicione). Tale rigonfiamento della crosta è dovuto all’aria, che durante la fase di manipolazione del panetto si sposta dal centro verso l’esterno. Nell’impasto classico napoletano non è ammesso nessun tipo di grasso. Soltanto acqua, farina, lievito (di birra o naturale) e sale. Nella più stretta tradizione prevede solo due varianti per quanto riguarda il condimento: pizza Marinara con pomodoro, aglio, origano e olio extravergine d’oliva e pizza Margherita con pomodoro, mozzarella a listelli, mozzarella di bufala a cubetti o Fior di latte o provola affumicata, basilico e olio extravergine d’oliva. La cottura della pizza napoletana, infine, avviene sempre ed esclusivamente tramite l’utilizzo del forno a legna e mai quindi utilizzando altri modi di cottura come per esempio il forno elettrico.
I luoghi dove si cucina e si consuma la pizza si chiamano pizzerie. L’Antica Pizzeria Port’Alba, nel centro antico di Napoli, è valutata come la prima pizzeria del mondo. A causa della forte immigrazione e influenza italiana, la città con il più alto numero di pizzerie nel mondo è la città di New York seguita da San Paolo in Brasile. In quest’ultima città le pizze hanno spesso guarnizioni derivanti dalla gastronomia locale, come il palmito e il catupiry, un formaggio cremoso. Negli Stati Uniti d’America e in varie parti del mondo esistono numerose catene di pizzerie; una delle maggiori catene in franchising è Pizza Hut, la quale ha aperto propri ristoranti in 86 Paesi del mondo, ma non in Italia. La pizza è stata accolta favorevolmente anche in Asia. Per esempio in Giappone, dove oltre alla pizza delle grandi catene americane, e a nuove forme di pizza locali, è possibile trovare anche la pizza artigianale prodotta secondo standard qualitativi italiani.
Dire pizza è dire Italia, come il nome di un grande stilista, come il Colosseo. Ed è proprio all’ombra dell’Anfiteatro Flavio che la pizza sta vivendo una suggestiva rivoluzione: da piatto povero ed economico per eccellenza, antesignana dello street food dai vicoli di Napoli fino alle Avenues di New York City, oggi sta entrando di prepotenza nella grande ristorazione e nei menù degli alberghi di lusso: e la città eterna l’ha accolta con riguardo. Alcuni esempi sono hotel come il Six Senses, il W Rome, il Bulgari per citarne alcuni. Ma lo stesso sta accadendo a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, e in altre parti del mondo. I pizzaioli alla stregua di chef stellati e maestri pasticcieri. La pizza proposta in abbinamento a vini pregiati e bollicine. E sempre a Roma c’è Gabriele Bonci, l’eroe, un maestro fornaio che, grazie anche a tv e social media, ha dato la sua impronta per diffondere la conoscenza di nuove tecniche di panificazione e lievitazione elaborate dalla scienza dell’alimentazione, come nell’utilizzo di nuove farine e nella selezione, per i condimenti, di materie prime sostenibili e a chilometro zero. Ma dietro questa vera e propria rivoluzione i nomi sono diversi: Francesco Arnesano, Stefano Callegari, Francesco Capece, Giancarlo Casa, Enzo Coccia, Salvatore Lionello, Salvatore Marcucci, Francesco Martucci, Jacopo Mercuro, Simone Padoan, Eduardo Papa, Luca Pezzetta, Angelo Rumolo, Ciro Salvo, Salvatore Salvo, Carlo Sammarco Pier Daniele Seu, Ivano Veccia e, non ultimo, Diego Vitagliano.
Il 17 gennaio, come detto, ogni anno è la loro festa, è la festa di questo mondo fatto di acqua e farina, un po’ di lievito e sale quanto basta, perché nello stesso giorno ricorre Sant’Antonio Abate, protettore di pizzaioli e fornai. E il 2023 è stato l’anno della consacrazione mondiale di 50 Top Pizza, la guida online delle migliori pizzerie al mondo che è il punto di riferimento della pizza di qualità. La prima guida è uscita nel 2017, con la classifica Italia e una sezione Internazionale. A tutti gli effetti oggi è una guida mondiale con più di 2.000 indirizzi tra pizzerie indipendenti e catene artigianali. La guida è presente, oltre che in Europa, in Asia, Oceania, Stati Uniti e dal 2024 anche in America Latina.
Infine, una curiosità che ci riguarda geograficamente da vicino. A Feltham, in Inghilterra, il nuovo record per la più distante consegna di pizza spetta a Lucy Clough. Una pizza è stata cotta il 17 novembre 2004 e ha percorso una distanza di 16.949 km per essere consegnata a Ramsey Street, a Melbourne, il 19 novembre 2004. Il record è presente nell’edizione 2006 del Guinness Book of Records.