Giungendo dal mare in una città portuale la prima cosa che colpisce il visitatore è l’immagine del luogo che gli permette di formulare a caldo una visione della sua topografia, la cultura dei suoi abitanti e la ricchezza o povertà del luogo.  

Ogni città marittima è diversa da un’altra.

Giungendo a Napoli con i suoi antichi palazzi ed edifici e con il Vesuvio sullo sfondo ti ricorda tanto delle sua antica storia romana, e anche di Catania, con strade che conducono al suo porto e qui è l’antica Via Etnea che porta diritta a un altro vulcano, Etna, che spesso col suo pennacchio bianco riesce a fare da meraviglioso sfondo salutando i visitatori.  

Per molti emigrati italiani che costituirono le grosse ondate emigratorie di fine anni ‘30, ‘40, ‘50 e anche ‘60, la prima volta che visitarono una città marittima sarà stata quando venne il giorno di lasciare il luogo natio per imbarcarsi su una nave alla volta di una lontana terra che potesse assicurare loro lavoro e una nuova parentesi di prosperità economica, per molti la vera e unica ragione per intraprendere il lungo viaggio verso una ignota terra pronta ad accoglierli e dove poter sviluppare il proprio potenziale.

Negli anni del dopoguerra, per tanti vizzinesi arrivare a Messina, dopo circa quattro ore di viaggio impacchettati come sardine nell’auto di Ciccio Busacca, avendo dato l’ultimo sguardo d’addio a tutto ciò che restava in casa, agli antichi ritratti incorniciati di antenati ancora appesi alle pareti, non potendo trovar spazio nei grossi bauli, e con gli occhi pieni di lacrime salutando famigliari e parenti, si lasciava l’antico luogo natio dopo la mezzanotte, (per la nostra famiglia l’ora della partenza avvenne alle 1.15am con le strade, i tetti delle case e ogni cosa coperti da circa 60 centimetri di neve, ndr) per arrivare alla città di porto sullo stretto, stanchi e sonnolenti, verso l’alba. 

Il Porto di Messina. Quindi si giungeva e si sostava per alcune ore nei porti di Said (Egitto), Aden (Yemen attuale), Colombo (Sri Lanka attuale), Fremantle (Australia) e quindi Port Melbourne, porto d’arrivo per milioni di emigrati, mentre altri proseguivano per Sydney e Brisbane)

Per la nostra famiglia Port Melbourne fu il porto d’arrivo della motonave ‘Roma’ della Flotta Lauro, alle 11.00 di domenica 14 gennaio 1962. Certamente allora non si aveva il tempo di osservare com’era questo luogo d’arrivo con tutta quella gente che affollava la banchina del porto. Perché tutti eravamo ansiosi di riabbracciare i nostri cari che non vedevamo da anni. 

Gente che chiamava a voce alta: “Pepè!”, “Antonio!”, “Paolina!”, “Totò!”, “Ninetta!”, “Vito!”, “Pippo!”, e allo stesso tempo sventolando freneticamente fazzoletti bianchi nell’intento di richiamare l’attenzione del famigliare o parente ancora sulla nave in ansiosa attesa di sbarcare, che avendolo riconosciuto rispondeva gridando il nome del famigliare sulla banchina. 

“Ma com’era Port Melbourne degli anni ‘60?”, spesso mi si chiede. Certamente non come ai tempi d’oggi con una moltitudine di modernissimi edifici a più piani di lussuosi appartamenti lungo Beach Street e Bay Street, occupati da professionisti nei vari campi del sapere umano con uffici nei grattacieli della vicina City.  

Ma la spiaggia è la stessa antica spiaggia di una volta e la lunga e deserta banchina del porto e della zona circostante è rimasta tale e quale com’era negli anni ‘60.  “Vuota, tetra e desertica”.

Proprio come di recente Anson Cameron, un articolista del quotidiano The Age e alcuni residenti del luogo hanno definito la zona portuale di Port Melbourne come luogo di urgente bisogno di sviluppo, di trasformazione, dove poter vedere eleganti bar, moderni negozi, ristoranti e alberghi, lungo Beach Street, che con i suoi appartamenti ricorda al visitatore una vaga copia del lungomare di Montecarlo. 

Secondo i residenti Sue Parrington e Barbara Fisher:

“Questa zona ha il potenziale di poter essere un’area dal sapore effervescente e con il tipico calore di benvenuto ai visitatori”. 

Difatti, lo ammette anche Eddie Micallef, ex parlamentare statale laburista e presidente della Beacon Cove Neighbourhood Association di Port Melbourne:

“È proprio un peccato, ma è vero che questa zona portuale e l’immediato circondario è un’area dove manca tutto ciò che ci vorrebbe per renderla fashionable e accogliente ai residenti e ai visitatori di altri sobborghi di Melbourne, e per quelli che arrivano con navi da crociere”. 

Port Melbourne manca di quella tipica vivacità e atmosfera delle più famose città di porto come Napoli, Barcellona, Catania, Palermo, Genova, Buenos Aires o Istanbul.

Qui i pochi bar del luogo sono antiquati e come se fossero rimasugli di altre epoche, senza alcun fascino. Non vi sono alberghi di lusso che potrebbero accogliere visitatori benestanti.

La nostra Associazione è da tempo che vorrebbe far capire sia al Comune sia ai responsabili ministri statali che occorre investire del capitale per accogliere sempre più visitatori in questa zona portuale storica, dove da oltre 80 anni milioni di emigrati da tanti Paesi europei, asiatici e latino-americani posarono fin dall’inizio i piedi in Australia.

Port Melbourne potrebbe diventare la porta d’accesso dal mare ideale di Melbourne.  

Anche mio figlio Alessandro, che vive in un moderno e comodo appartamento della centralissima Bay Street, da dove si scorge un bel panorama della City, ed è a soli 200 metri da Beach Street e quindi dalla spiaggia di Port Melbourne, mi chiede:

“Ma com’era Port Melbourne degli anni ‘60 quando siete arrivati voi?”  “Già, com’era Port Melbourne e tutta l’area vicino al porto?”.

Fin dal secolo scorso, come quasi tutte zone portuali, Port Melbourne era raggiunta da un treno per il trasporto merci; lana e prodotti agricoli che giungevano dalle lontane e immense zone agricole del nord e ovest del Victoria, destinati ad altri Paesi d’oltremare.

Quindi la zona era costituita da numerosi grandi capannoni dai tetti di lamiera arrugginita usati per immagazzinare frumento, lana, orzo, pelli, legumi, ecc. in attesa di spedirli via mare, perciò luogo anche di parecchi pub per soddisfare le necessità dei lavoratori portuali.

Come molte altre simili aree portuali considerate sobborghi malfamati in prossimità dei porti, quindi  frequentate in prevalenza da marinai in arrivo e gente di mare che dopo lunghi periodi di navigazione sono ansiosi di ritrovarsi sulla terra ferma e con tasche piene di soldi, e perciò in cerca di soddisfare le loro voglie di grandi piatti di pietanze preferite, grossi boccali di birra …e anche le arsure carnali a basso prezzo. Per questo negli anni ‘60 Port Melbourne non godeva di un buon nome e carattere.  

Ricordo bene che quando si parlava di qualche famiglia di paesani che aveva comprato una delle tante casette di legno in quel sobborgo, perché costava ben poco (oggi quelle medesime casette valgono oltre un milione di dollari, ndr), si diceva di quella famiglia un po’ sempliciotta perché non conosceva bene la storia del luogo.

“A Port Melbourne! Oh, Dio ce ne scanzi!”, sentivo dei miei parenti esclamare ogni volta che si menzionava Port Melbourne: “Beh! Iu nun la vulissa mancu rialata na casa a Port Melbourne, a Middlu Park o San Kilda!”  

Come son cambiati i tempi! Nella medesima zona, con un milione di dollari ai tempi d’oggi puoi solo comprare un appartamentino con due stanzette da letto e i servizi. Ecco perché adesso, ci fanno capire alcuni residenti del luogo, vivere a Port Melbourne e come dire:

“Avercela fatta a vivere in un posto che è come vivere nei pressi di un resort balneare, la ‘Surfers Paradise’ di Melbourne!”. 

No, grazie, io preferisco il mio rinverdito e comodo villaggio di Avondale Heights, con le sue strade alberate, con molti servizi disponibili e con il fiume Maribyrnong, dove ci si arriva camminando lungo il viottolo dietro casa e poter arrostire al barbecue un paio di ottime bistecche e sorseggiare un bicchiere di vino rosso, seduti all’ombra di uno dei tanti alberi sulle sponde del fiume.