Più che un freddo giocatore di scacchi, Stalin era stato un lucido giocatore di poker al tavolo della Conferenza di Potsdam iniziata il 17 luglio 1945. Quando si era conclusa il 2 agosto il vincitore era lui: aveva fatto finta di nulla quando il presidente Harry Truman gli aveva rivelato che gli Stati Uniti avevano realizzato la bomba atomica, si era fatto scivolare addosso i tentativi di Winston Churchill di rilegittimare il peso politico dell’impero britannico e di tenerlo fuori dal fronte del Pacifico.
Churchill messo fuorigioco
Il dittatore sovietico aveva assistito compiaciuto al fatto che erano stati gli stessi inglesi a risolvergli il problema rimuovendo l’ostacolo dell’irriducibile Churchill: il 27 luglio i giornali annunciavano che l’uomo che aveva resistito ad Adolf Hitler e aveva guidato la lotta contro il nazismo era stato sonoramente battuto alle elezioni vinte dal Partito laburista. Stalin probabilmente si rafforzò nelle sue idee antidemocratiche, visto il trattamento riservato a Churchill che, lo stesso giorno della disfatta elettorale, si era recato dal re Giorgio VI e si era dimesso. La Conferenza di Potsdam, sospesa il 25 luglio, era ripresa con il nuovo premier Clement Attlee che durante la guerra contro la Germania era stato un fedele collaboratore di Churchill per la gestione degli affari interni, dal quale politicamente lo separava tutto. Durante la campagna elettorale Churchill col suo consueto umorismo raccontava dell’arrivo di un taxi senza nessuno a bordo dal quale poi usciva Attlee. Per Stalin era invece l’uomo giusto per chiudere il vertice a tre e ottenere la sua firma sulla richiesta di resa incondizionata al Giappone, che il 29 luglio sarà respinta da Tokyo. Quanto alla Germania, Stalin non fletteva da un’intransigente linea punitiva che prevedeva pure l’amputazione della Prussia Orientale a vantaggio dell’Urss e l’arretramento dei confini tedeschi lungo il corso dei fiumi Oder e Neisse.
La rivelazione di Truman
C’era ancora Churchill nel momento in cui Truman aveva rivelato a Stalin della bomba atomica ormai pronta all’uso, nel corso di un colloquio appartato assieme agli interpreti al quale il leader britannico assisteva da lontano senza poter cogliere alcuna parola. Aveva però colto nel volto del capo del Cremlino lo stesso atteggiamento di prima della rivelazione, e quando aveva chiesto a Truman come avesse accolto la notizia della superarma si era sentito rispondere che non gli aveva fatto neppure una domanda per saperne di più. Come se la cosa non lo interessasse. Alla chiusura della Conferenza, mentre gli Usa erano soddisfatti della leadership derivante dal potere nucleare, la Gran Bretagna aveva ben poco di cui andare fiera, perché assisteva al declino dell’impero senza poterlo impedire. Churchill aveva in precedenza provato a frenare sull’intervento dell’Unione Sovietica contro il Giappone, come più volte richiesto durante la guerra per alleggerire la pressione sul fronte del Pacifico, ma adesso tutte le condizioni erano cambiate. Stalin aveva la possibilità di ottenere il massimo col minimo sforzo. Dichiarare guerra al Giappone ormai battuto diventava persino conveniente.
Le nazioni sconfitte
La firma del protocollo finale prevede che le quattro potenze vincitrici potranno predisporre il trattato di pace con l’Italia; all’Urss e alla Gran Bretagna spetterà stilare quello con la Finlandia; la Francia sarà esclusa da ciò che concerne Ungheria, Bulgaria e Romania. Quanto alla Germania, nessun accordo viene raggiunto a Potsdam, limitandosi a un compromesso sulle zone d’occupazione e di controllo del suo territorio, al disarmo tedesco, alla distruzione degli armamenti e al divieto di costruzione, all’eliminazione delle industrie convertibili a usi bellici, al criterio economico della produzione agricola, oltre alla denazificazione e al processo ai criminali di guerra. Quanto ai danni di guerra imputabili alla Germania, Truman con realismo tenta di sostituire al concetto delle riparazioni a compensazione elaborato a Yalta quello della concreta capacità di pagarle. Si consideri che la metà della cifra di 20 miliardi di dollari già stabilita era destinata a finire a Mosca. La soluzione di compromesso fu una tacita autorizzazione all’Unione Sovietica a saccheggiare beni e risorse nella zona orientale di sua competenza. Una parte dell’ex Reich, a ovest della linea Oder-Neisse, fu ceduta alla Polonia per compensarla dei territori che Stalin si era già annesso, considerandoli Ucraina e Bielorussia occidentali, e che guarda caso erano gli stessi previsti nel protocollo segreto del Patto Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939, invasi il 17 settembre, sottoposti a un referendum farsa per l’annessione, persi nella guerra del 1941 e riconquistati dall’Armata Rossa.
La dichiarazione di guerra al Giappone
A Potsdam venne discussa anche la posizione dell’Austria, considerata Paese aggredito e non complice del nazismo. E, questo, nonostante lo schiacciante referendum popolare a favore dell’Anschluss, che Hitler fosse austriaco e così tanti altri gerarchi e criminali nazisti. Stalin si riservò una sorta di tutela a distanza, mentre molto più pesante sarà il controllo indiretto sulla Finlandia. L’alleanza dei tre Grandi mostrò da subito di essere ai titoli di coda. Aveva visto giusto Churchill quando aveva sollecitato Truman a tenere a bada Stalin in Europa, perché era improponibile mantenere a lungo le truppe d’occupazione, e infatti una metà del continente finirà sotto l’egemonia sovietica. Ma gli americani, rassicurati dalla disponibilità dell’arma atomica, non esercitarono fino in fondo questo strumento di pressione in chiave politica. Stalin aveva gestito al meglio la questione della guerra al Giappone, resistendo alle richieste degli alleati e temporeggiando. Quando il 6 agosto il B-29 Enola Gay sganciò l’atomica su Hiroshima, ritenne giunto il momento di agire e l’8 scatenò l’Armata Rossa in Manciuria, nonostante Mosca fosse vincolata a un trattato di non aggressione con Tokyo che sarebbe scaduto solo otto mesi dopo. Il 9 gli americani avrebbero lanciato il secondo ordigno nucleare su Nagasaki e il Giappone avrebbe capitolato il 2 settembre. L’uomo del Cremlino raccoglieva un ricco bottino senza praticamente incontrare resistenza.