BRUXELLES – Sono 20 i Paesi dell’Unione Europea che hanno firmato un documento per esprimere la propria opposizione, in maniera ufficiale, rispetto alle modifiche approvate alla Costituzione dall’Ungheria lo scorso aprile, con le quali si è stabilito il primato del diritto dei bambini a un “corretto sviluppo fisico, intellettuale e morale” che prevale sugli altri diritti fondamentali.

La misura ha come conseguenza quella di mettere al bando le marce del Pride, sollevando le proteste dei Paesi Bassi, che in una dichiarazione scritta hanno sottolineato: “Siamo profondamente allarmati da questi sviluppi, che sono contrari ai valori fondamentali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e del rispetto dei diritti umani”.

Il testo ha raccolto le adesioni di 20 Stati dell’Unione Europea, che hanno invitato l’Ungheria a “rivedere le misure” e sollecitato la Commissione a fare ricorso “pienamente e rapidamente” agli strumenti a sua disposizione per reclamare un cambio di rotta da parte di Budapest.

Un monito all’Ungheria, chiamata a “rivedere le misure”, ma anche alla Commissione, esortata a far ricorso “pienamente e rapidamente” agli strumenti a sua disposizione per reagire qualora Budapest proseguisse nella sua crociata.

I Paesi ad avere firmato il testo sono Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Svezia, Spagna, Cipro, Malta e Grecia. Non hanno firmato, invece, Bulgaria, Croazia, Polonia, Romania, Slovacchia e Italia, unico Stato dell’Europa occidentale e tra i Paesi fondatori a non aver sottoscritto la il documento.

La dichiarazione è stata elaborata in occasione della nuova audizione sullo Stato di diritto in Ungheria che si è tenuta a Bruxelles nel contesto della procedura relativa all’articolo 7 dei Trattati, la stessa attivata nel 2018 e da allora rimasta in stallo. 

Negli ultimi mesi ha iniziato ad allargarsi il fronte di chi chiede di sospendere il diritto di voto dell’Ungheria, sostenuto in particolare dalla Germania che non vuole “lasciare nulla di intentato”.

Nel complesso, l’audizione sullo stato di diritto in Ungheria “ha evidenziato che persistono notevoli preoccupazioni e purtroppo si sono aggravate”, il commento del commissario europeo alla Giustizia, Michael McGrath, in conferenza stampa al termine del Consiglio affari generali a Bruxelles. 

“La posizione della Commissione nel complesso non è cambiata, la procedura dell’articolo 7 deve essere mantenuta finché le questioni che le hanno innescate rimangono irrisolte”, ha aggiunto. La Commissione, come sempre, continua a essere pronta a impegnarsi in modo costruttivo con le autorità ungheresi su tutti questi temi”.

Quanto alla messa al bando del Pride in Ungheria, “sono in gioco una serie di questioni molto importanti: una è il rispetto della Carta dei diritti fondamentali che abbiamo adottato nell’Unione europea negli ultimi 25 anni”, ha proseguito McGrath sottolineando che “il diritto alla libertà di riunione, la libertà di riunirsi pacificamente è un diritto fondamentale”.

È diffuso, infatti il malcontento verso i continui veti dell’Ungheria sull’avanzamento del processo di adesione dell’Ucraina all’Ue; per questo tipo di sanzione nei confronti di uno Stato membro è richiesta l’unanimità.

Più realistico pensare di attivare la parte preventiva dell’articolo 7, con cui si afferma l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dei valori fondamentali in Ungheria. Perché ciò avvenga occorre però il voto favorevole di 22 Stati membri, cioè la maggioranza di quattro quinti degli Stati. 

“La lettera non è stata redatta né firmata per attivare l’articolo 7, e non accadrà oggi, ma il messaggio è chiaro – hanno spiegato fonti diplomatiche –. Venti Stati membri esprimono profonda preoccupazione per questa specifica situazione”.