BUENOS AIRES – È stato l’ospite d’onore della festa d'anniversario.
Romano Prodi (politico, economista, docente universitario) fu, alla fine degli anni ’90, il regista dell’ingresso dell’Italia nell’euro. Ma è venuto a Buenos Aires per un altro motivo, meno noto ma altrettanto importante.
Fu proprio Prodi, allora Presidente del Consiglio, a firmare nel 1998 un accordo di collaborazione scientifica tra Italia e Argentina (con il presidente Carlos Menem).
Grazie a esso è stato possibile creare a Buenos Aires una sede dell’Università di Bologna, che funziona ininterrottamente da 25 anni (sopravvivendo persino alla crisi del 2001) e forma la classe dirigente dei due Paesi e di altri Stati latinoamericani.
Non meraviglia, dato che Bologna ha l’ateneo più antico del mondo occidentale, fondato nel 1088 e sopravvissuto a ben altro. Insomma, di longevità ne sa qualcosa.
In un evento organizzato alla Borsa di Commercio di Buenos Aires per celebrare l’anniversario, Romano Prodi ha dialogato con Angelo Manaresi sul tema “Europa e America Latina nello scenario internazionale”.
Manaresi è stato direttore della sede porteña dell’ateneo bolognese dal 2010 al 2016 e ancora oggi insegna Management and Marketing.
Parlare dei rapporti tra Europa e America latina, per Prodi, è “un dolore”. Il motivo? “Quando ho iniziato a fare politica – spiega – la classe dirigente latinoamericana si sentiva figlia dell’Europa. Ora è sempre più appiattita sugli Usa. Si è persa la diversità”.
Le cause, secondo l’economista, vanno cercate anche in Europa che “non è stata capace di fare politiche per l’America Latina”.
In più, con il Mercosur (un mercato comune costituito da Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay e Venezuela, sebbene sospeso, più altri Paesi associati) diviso, appare sempre più lontana la firma di un accorto commerciale con l’Unione Europea.
“Se aspettiamo l’unanimità non ci arriveremo mai – dice Prodi –. Bisogna fissare una maggioranza e istituire il voto per paese, ponderato per il numero di abitanti”. Perché è impensabile che il Brasile conti come l’Uruguay.
Intanto, mentre l’Europa guardava altrove, il modello di business si è trasformato. Oggi il primo partner commerciale dell’America Latina è la Cina.
“E se Lula va a Pechino a fare accordi, non è perché è comunista, ma perché altrimenti non saprebbe a chi vendere la soia prodotta in Brasile” afferma perentorio.
Secondo Prodi, la Cina si apre al mondo senza una dottrina.
“L’Europa, invece, ha una politica estera dottrinaria, gli Usa addirittura teologica” aggiunge. E rincara la dose: “L’Unione Europea non ha saputo organizzare una missione seria di mediazione per la guerra in Ucraina. Solo proclami retorici. A livello mondiale non contiamo più nulla”.
Basta pensare che gli scambi tra Russia e Cina oggi sono in yuan. Mentre proprio Prodi, al momento della nascita dell’euro, aveva ottenuto che fosse la moneta usata dalla Russia per le transazioni internazionali.

Romano Prodi durante l'incontro alla Borsa di Commercio.
“È cambiato lo spirito dell’Eurozona – ammette con amarezza –. Inizialmente avevamo creato un mondo fantastico ma, con la crisi economica del 2008, è diventato un problema, una gabbia”.
La pace mondiale, però, oggi è nelle mani di Cina e Stati Uniti, mentre i governi europei sono sempre più deboli. Non a caso in quasi tutti gli Stati governano coalizione, molto, troppo diverse al loro interno.
Stimolato a parlare di privatizzazioni, tema caldo per l’Argentina nei prossimi mesi, non si tira indietro. Lui, uno dei creatori dell’Iri (Istituto per la ricostruzione industriale, una mega-agglomerato di imprese di Stato nei più vari settori) poi chiamato a smantellarlo per “fare cassa” e per rispettare le regole europee sulla libera concorrenza.
“Quando si privatizza bisogna avere chiari due obiettivi – dice –. Che l’impresa continui a funzionare e che non finisca in mani straniere”. Il secondo aspetto è complicato: se entra il capitale privato, lo Stato perde il controllo.
“In Italia non è andata bene – ammette – ma qualcosa si può fare. Per esempio, lasciare che lo Stato mantenga una quota residua temporanea per guidare il processo. Oppure fissare regole serie in base alle quali chi compra non può rivendere immediatamente la propria quota”.
Si tratta di rendere l’impresa efficiente evitando l’impoverimento del sistema produttivo.
“Ben venga – dice – il capitale straniero, ma se si mantiene un equilibrio attraverso investimenti incrociati”. Con la consapevolezza che nel mondo globale imprese come Google o Amazon sono più forti dello Stato.
Alla domanda sulle conseguenze geopolitiche della rottura dell’asse Brasile Argentina e del certo spostamento filoatlantico della politica estera del governo nei prossimi mesi, risponde che gli esiti sono imprevedibili e che dipenderanno in gran parte non dalle scelte di un singolo governo ma dall’equilibrio generale. “Mi preoccupa molti di più la divisione del mondo” conclude.
Su una cosa, però, non si discute: il legame percepito dalle persone sulle due sponde dell’Oceano Atlantico. “Quello è sempre fortissimo”, dice. Ed è forse da qui che dovremmo ripartire per la creazione di politiche comuni.