Non ha difficoltà a ricordare nomi e date esatte degli incontri che hanno fatto la storia della boxe Mario Magris, l’ex pugile professionista onorato con una Medaglia dell’Ordine d’Australia nel giorno del compleanno della Regina. E questo nonostante un ictus cerebrale che lo ha colpito due anni e mezzo fa. “Anche il mio specialista era molto sorpreso che non avessi subito danni al linguaggio” – racconta il settantaseienne originario di Trieste, evidentemente ancora agile nello scansare i colpi inferti dalla vita così come faceva sul ring.
D’altronde la passione per lo sport è sempre andata al di là della pura adrenalina da competizione. Nella sua casa di Sunbury Mario ha una stanza piena di libri, riviste e memorabilia sull’argomento: chi è in cerca di informazioni e fatti specifici ancora si rivolge a lui. Nel 2004 è stato ammesso nella Victorian Boxing Hall of Fame, il primo italo-australiano a farne parte. Non solo, è anche il segretario più longevo della più longeva associazione di pugili, la Past and Present Boxers Association, fondata nel 1938. Da 25 anni ricopre la carica con onore e dedizione.
Ed è una passione che si è nutrita sin dalla prima infanzia dei racconti del padre, anche lui grande appassionato di pugilato: “Mio padre assistette di persona all’incontro in cui Primo Carnera difese il titolo di campione dei pesi massimi a Roma”. In Australia, dove Mario giunse all’età di dieci anni, nel 1954, il padre lo portava al West Melbourne Stadium (successivamente ribattezzato Festival Hall), a tifare per i campioni italiani come Bruno Visentin, Duilio Loi e Mario D’Agata (quest’ultimo il primo e unico pugile sordomuto ad aver vinto un titolo mondiale).
“Bisogna ricordare che quelli erano tempi duri per gli immigrati italiani. Non avevano niente e si sentivano fortemente discriminati. Il fatto che questi campioni italiani mettessero al tappeto gli avversari era un forte motivo di orgoglio. In quegli anni si riempivano gli stadi, era quasi impossibile trovare un biglietto per gli incontri del venerdì sera. Io ero presente alla famosa sommossa avvenuta durante il match tra Bruno Visentin e l’africano Attu Clottey, nel 1957. Gli italiani si ribellarono al verdetto dei giudici, i quali assegnarono la vittoria ai punti al pugile africano. Avevano tutti perso la testa! Lo stadio si trasformò in una grande rissa e volarono bottiglie, tanto che io ne scansai una per pochi centimetri. Ero solo un ragazzino e non avevo mai visto niente del genere. Da quel giorno vietarono la vendita di bottiglie di vetro!”.
Mario cominciò ad allenarsi a 13 anni e raggiunse l’apice della sua carriera negli anni ’60, combattendo nella categoria dei pesi gallo. In 12 anni di attività disputò 78 incontri, di cui 31 da professionista. Poi una malattia del sangue gli tarpò le ali. “Si trattava di una rara forma di anemia cronica – spiega Magris. – Provai a fare un ritorno dopo qualche anno ma senza successo”. Mario è noto soprattutto per i suoi tre incontri con Lionel Rose, il primo pugile aborigeno a vincere un titolo mondiale e anche il primo indigeno a essere nominato Australian of the Year.

Uno scatto di Magris a 21 anni
“Ho vinto molti incontri ma tutti mi ricordano per le mie tre sconfitte con Lionel Rose. Furono comunque tre match combattuti molto alla pari, durati anche otto round. Ero considerato un pugile abile e veloce – racconta Mario -. Su cinque colpi ne schivavo tre. Non ho mai subito tagli al viso, intorno all’occhio, ad esempio”.
Il ritiro forzato dalla boxe professionale non ha scalfito la passione per lo sport, e Mario ha continuato a occuparsi di pugilato come allenatore e come membro e poi segretario della Past and Present Boxers Association. “Ci incontriamo tre volte l’anno presso la Darebin RSL e ricordiamo i bei tempi andati. Siamo circa 200 membri e abbiamo avuto anche alcune donne nel comitato. La boxe mi ha dato tante soddisfazioni e tanti onori, ma soprattutto mi ha regalato bellissime amicizie che sono durate negli anni”.