Dagli estenuanti turni di notte in una fabbrica di Brunswick fino a realizzare il sogno di mettersi in proprio e ai picchi di produzione nel boom tessile di Melbourne degli anni ’80, per poi attraversare le crisi del settore e dover ricominciare ancora una volta da zero. La storia della famiglia Pietrolungo e del suo calzificio Class Hosiery riflette la parabola dell’industria manifatturiera australiana, ma se ne discosta in quanto fulgido esempio di continuità e perseveranza. Di calzifici ne sono rimasti cinque nel Victoria, dai 30 circa dei tempi d’oro.
Oggi è raro comprare un prodotto tessile e conoscerne la provenienza, andando a ritroso nelle fasi del suo processo produttivo. I costi di produzione in Australia sono molto alti, e la concorrenza dai Paesi con una manodopera sottopagata è troppo schiacciante.
Eppure esistono ancora, e resistono, le piccole realtà che scelgono di andare controcorrente, come dimostrano Raffaele Pietrolungo e il figlio Giuliano, davanti a una macchina che mentre parliamo sputa fuori, come per magia, un ineccepibile calzino.
I macchinari arrivano dall’azienda Lonati, di Brescia, dove Giuliano è andato a studiarne il funzionamento dopo la laurea in Ingegneria.
“Le prime macchine che acquistò mio padre erano arrivate col capitano Cook!”, scherza Raffaele, soppesando gli enormi progressi tecnologici di cui è stato testimone. “Per modificare l’impostazione di un macchina da uno stile a un altro di calzino ci volevano anche due giorni. Adesso basta un minuto con un programma al computer”, spiega.
Tra questi due estremi c’è una trasmissione di conoscenze tecniche e un passaggio di valori e passioni che Raffaele incarna nei suoi quasi 50 anni di carriera e nell’orgoglio con cui deposita gli insegnamenti del padre Antonio al figlio Giuliano. “Mio padre era uno dei più bravi tecnici in Australia per le macchine di quei tempi”, racconta di Antonio Pietrolungo, giunto a Melbourne nel 1954, da Cepagatti, in provincia di Pescara, all’età di 19 anni e scomparso nel 2012. “Ha subito cominciato a lavorare in un calzificio di Brunswick. Per nove anni ha svolto il turno di notte, di cui poi è diventato il responsabile, prima di essere promosso tecnico del turno di giorno e infine capo della sala meccanica. Nel dicembre del 1973, assieme al socio Joe Todaro, ha comprato una ventina di vecchie macchine e aperto la fabbrica Class Hosiery, su Lygon Street, Brunswick. Lavoravano sei o anche sette giorni su sette”.
Nel 1974 Raffaele, appena sedicenne, cominciò il suo apprendistato per il padre. “La produzione raddoppiò quasi dal giorno alla notte e dopo soli tre anni costruimmo una fabbrica più grande a Thomastown, dove siamo tutt’ora”.
Le venti macchine iniziali sono presto diventate 65, poi 140 fino a un massimo di 350 durante il picco dell’attività, quando la fabbrica si estendeva su 13mila metri quadrati, tra otto edifici, e contava circa 350 operai, perlopiù immigrati italiani, greci, macedoni e jugoslavi, stabilitisi in quel periodo a Thomastown.
“Negli anni ’80 fornivamo le calze per Coles, Myer, David Jones, Target, Best & Less. Siamo arrivati a produrre 720mila paia di calzini alla settimana - continua Raffaele -. Eravamo il secondo più grande produttore in Australia, ma l’impostazione era sempre quella di una grande famiglia multietnica. Organizzavamo spesso delle feste e per alcuni anni facevamo formazione il sabato mattina”.

Il fondatore Antonio Pietrolungo con le prime macchine per la produzione di calzini
Nel frattempo l’azienda si era espansa acquisendo altre fabbriche, anche da Sydney, e allargando la produzione al mercato delle scuole. “Si trattava di investimenti enormi, che riuscimmo ad ammortizzare velocemente grazie alle mode che imperversavano in quegli anni, come quella degli scaldamuscoli, che sono in sostanza dei calzini senza la chiusura al piede, e quella dei calzini dai colori fosforescenti. Poi abbiamo comprato la licenza per usare i personaggi di Looney Tunes”.
Nel 1988 l’azienda acquisì Fit-Wear Limited, un marchio quotato in Borsa. I tempi difficili sono sopraggiunti nel periodo a cavallo tra anni ’80 e ’90, quando i tassi d’interesse sono saliti alle stelle.
Nel ‘91 il conglomerato Pacific Dunlop (poi diventato Holeproof) rilevò l’azienda, segnando la fine apparente del sogno di Antonio Pietrolungo. “Era l’unico modo per salvare tutto quello per cui aveva lavorato, ma non ne volle sapere di diventare un loro stipendiato. Io restai nel management per qualche mese e poi me ne andai, per dedicarmi alle importazioni di filati”.
Ma la partita non era finita. Benché avesse un’ingiunzione di non concorrenza, secondo cui non avrebbe potuto produrre calzini per conto proprio per tre anni, Antonio ne contestò la validità in Tribunale, dimostrando che quello era l’unico mestiere che conosceva per sostenersi.

Il figlio Raffaele, quando cominciò il suo apprendistato per il padre, appena sedicenne
“Nel ’94 si rimise in proprio, sempre da questa nostra fabbrica di Thomastown, con un socio che aveva lavorato molti anni per noi. Per lui era una questione di principio - sottolinea Raffaele -. Ricominciò con solo 10 macchine, ma proprio allora la Nike stava cercando manifatturieri in Australia e scelsero di commerciare con mio padre. Rappresentava l’80% della produzione. Inoltre, io avevo ancora molte connessioni. Nel 1997 mio padre cominciava a essere stanco di alzarsi la mattina alle sei e tornare a casa alle otto tutte le sere, come aveva fatto per tutta la vita. Si cominciava a vedere. Ci siamo accordati e io ho preso le redini dell’azienda”.
“Quando la Nike ha spostato la produzione all’estero nel 2007 ho dovuto cercare altre strade. Abbiamo poi acquisito altre ditte, che avevano il mercato delle scuole e degli sport, con marchi che forniscono NRL, AFL ed A-League. Più recentemente abbiamo comprato il brand Soxy Beast, che collabora ogni mese con un artista australiano diverso e devolve parte del ricavato in beneficenza. Lavoriamo prevalentemente con fibre naturali, quali cotone e lana, e siamo fieri di avere i marchi Ethical Clothing Australia e Australian Made”.
“Tre anni fa ci siamo ri-registrati con il marchio Class Hosiery, quello originario di mio nonno - conclude Giuliano, da pochi giorni diventato lui stesso papà, inaugurando così la quarta generazione di Pietrolungo – e così si chiude il cerchio”.