Per una generazione di bambini abituati a vedere austeri cartoni animati ungheresi (Baltazar) o le avventure di Pippi Calzelunghe, o le buffe vicende dei personaggi di Hanna-Barbera, come i dimenticati Mototopo e Autogatto o Napo Orso Capo, l’arrivo dell’anime giapponese Atlas Ufo Robot tratto dal manga omonimo di Go Nagai nell’aprile del 1978, 45 anni fa, fu devastante.
La messa in onda delle puntate, all’interno della trasmissione “Buonasera con...” condotta da Maria Giovanna Elmi, diventa subito un appuntamento di culto. Anche per i più grandi. Apripista per i successivi Jeeg Robot e Mazinga. Un’invasione che si sviluppa in parallelo sulle televisioni private appena nate. La canzone della sigla è tra i singoli più venduti dell’anno.
La Rai ha trasmesso la serie in tre blocchi tra il 1978 e il 1980. Goldrake era tassello di una trilogia con Mazinga Z e Il Grande Mazinga. In Italia Goldrake esce prima degli altri, così la continuità fra le tre storie è stata da noi perduta. Gli ascolti tv sono ottimi, il merchandising conquista il mercato un po’ come era successo l’anno precedente con Guerre Stellari.
Tutti ne parlano, cinque milioni al giorno davanti al piccolo schermo, e qualcuno lo critica per la troppa violenza, c’è chi lancia crociate. Accolto bene da Gianni Rodari, giudicato come reazionario da Dario Fo. Ma indietro non si torna: dopo aver visto il romanticismo del protagonista Actarus che ripensa a Vega, e la sua potenza quando diventa Goldrake, il pubblico non può più farne a meno.
Appartenenti a un genere che sta da tutt’altra parte, ma accomunati nella mitologia televisiva, compiono 65 anni i Puffi, i nani blu inventati e disegnati nel 1958 dal belga Peyo, pseudonimo di Pierre Andrè Gabriel Culliford, scomparso all’età di 64 anni nel 1992.
Il nome “Schtroumpfs” nasce nel 1958 quando Peyo chiese a un commensale di passargli una saliera della quale sul momento non gli veniva il nome: “Passe-moi le... schtroumpf” (“Passami il... puffo”), disse scoppiando poi a ridere; l’amico rispose: “Tieni, ecco il tuo puffo, e quando avrai finito di puffarlo, me lo ripufferai!”.
Dopo aver usato scherzosamente questo termine più volte nella stessa giornata, Peyo decise di metterlo a frutto usandolo all’interno di una serie a fumetti del quale era autore, John e Solfamì, pubblicata su Le Journal de Spirou e ambientata nell’Europa in un medioevo fiabesco: Johan (John) è il coraggioso scudiero al servizio del re, mentre Pirlouit (Solfamì) è il buffone di corte che entra in possesso di un flauto a sei fori con cui evoca gli Schtroumpf; questa è la prima apparizione dei personaggi che, pur continuando poi a comparire sporadicamente in questa serie, diventeranno presto protagonisti di una serie a fumetti a loro dedicata.
Le prime storie autonome debuttano nel n. 1107 di Le Journal de Spirou il 25 luglio 1959. Il primo di questi racconti si intitolava I Puffi neri (Les Schtroumpfs noirs), e sarà ridisegnato per la successiva uscita in volume nel 1963; nella versione graficamente riveduta e corretta, i personaggi hanno lineamenti più tondeggianti e, tra le altre cose, quattro dita per mano anziché cinque.
Il flauto a sei puffi fa parte della collana di John e Solfami ed è antecedente a tutte le altre avventure e quindi non rientra nella numerazione ufficiale. Dopo la morte di Peyo, il figlio Thierry Culliford prosegue la serie realizzando nuove storie di cui cura la sceneggiatura mentre sua madre Nine si occupa della colorazione.
Novantanove omini e una nanetta blu, Puffetta, tuttavia ancora molto giovani. I Puffi incarnano valori molto solidi come amicizia, tolleranza, divertimento e spirito di squadra ma nutrono ambizioni superiori ai loro 16 centimetri di statura, se si considerano i numeri, un business da un milione di dollari per 55 lingue editate, tra cui il cinese, popolo per il quale i Puffi sono i “piccoli spiriti blu”. In un sondaggio globale, il 95% degli intervistati ha detto di conoscerli.
L’Onu li ha anche nominati “ambasciatori della sostenibilità”, al fine di diffondere gli obiettivi del 2040 per salvare l’ambiente. Ogni anno appare una puntata nuova della serie classica, gli album continuano ad essere pubblicati, mentre l’azienda che ne gestisce il marchio mantiene un fermo impegno nel merchandising voluto dallo stesso Peyo, così come per il cibo, biscotti, pasta, gelato o nell’abbigliamento. Il pubblico dei Puffi va dai 4 ai 12 anni, ma ultimamente cercano anche di prendersi cura dei follower più grandi.
Il saggista francese Antonie Buéno ha sostenuto che la comunità dei Puffi evoca “un archetipo di una società totalitaria intrisa di stalinismo e nazismo”, dove il leader supremo, il Grande Puffo, nella virtuale assenza di proprietà privata “poteva rappresentare il dissidente Trotsky” mentre l’immagine di Gargamella, “il cattivo, è quella di un uomo sporco, con un naso prominente, assetato d’oro”, cioè “lo stereotipo con cui l’antisemitismo del movimento hitleriano rappresenta gli ebrei”. In risposta a questa tesi di Buéno, Thierry Culliford, il figlio di Peyo, ha dichiarato che le accuse espresse dal Buéno oscillavano “tra il grottesco e il poco serio”.
Nei programmi presenti e futuri, il “Pianeta Puffo” continuerà a ruotare intorno ai suoi elementi centrali: libri e audiovisivi.