Sentire parlare Raffaella di design fa capire la differenza tra un lavoro e una vocazione. Per lei gli oggetti non sono solo strumenti funzionali senz’anima, ma compagni della nostra vita quotidiana di cui dovremmo prenderci cura.

La sua ispirazione sono i grandi maestri degli anni d’oro del design italiano, alcuni dei quali sono stati suoi professori al Politecnico di Milano e mentori in ambito professionale.

Non si può non menzionare, in occasione della sua visita a Buenos Aires, il grande Tomàs Maldonado, argentino naturalizzato italiano, personaggio iconico della scena intellettuale italiana.

Le loro strade si incrociarono durante gli studi al Politecnico di Milano dove Maldonado insegnava nella facoltà di architettura.

“Sono stata letteralmente affascinata dalle sue lezioni perché erano di una ampiezza culturale smisurata. Era una persona di estrema cultura, filosofo, scrittore, artista, designer… e aveva avuto esperienze incredibili come la sua partecipazione nella scuola di Ulm. Le sue lezioni attraversavano i temi sempre in modo interdisciplinare. È stata anche una persona di grande generosità e umiltà, quando feci la mia tesi con lui, non sentendosi pienamente competente su un tema specifico, mi mise in contatto con Marco Zanuso, uno dei più rilevanti maestri del design industriale italiano, con cui poi lavorai in diversi progetti di architettura. Con Tomàs continuò un rapporto di amicizia negli anni frequentando il suo gruppo, furono anni meravigliosi nei quali grazie a lui entrai in contatto con personalità impressionanti. Alle sue feste ti presentavano, come se niente fosse, Umberto, che poi era Umberto Eco… Leonardo Mondadori, Inge Feltrinelli, Gui Bonsiepe”.

Il ricordo che l’architetta Mangiarotti ha della figura di Tomàs Maldonado è quella di “un uomo molto carismatico, di grande eleganza e intelligenza, un grande gentiluomo per nulla maschilista, anzi, era assolutamente un uomo femminista. Non fece mai differenza tra capacità maschili e femminili, anche se erano anni in cui esistevano ancora molti pregiudizi. Per esempio, all’ufficio brevetti quando presentai alcuni dei miei primi progetti, che erano per telefoni cellulari, non credevano che io, donna, fossi l’inventrice. Al tempo era normale che fosse così, lui invece aveva uno sguardo puro verso le capacità creative e ti considerava realmente alla pari. Credo che appunto, una grande intelligenza ti porti a non fare differenze”.

Ma purtroppo, l’architetta milanese rileva che vi siano ancora molte difficoltà per le donne nell’ambito delle industre creative.

“Al giorno d’oggi ci sono ancora ambiti professionali che non vengono considerati adeguati alle donne, ad esempio nelle aree più tecniche della produzione di un oggetto. Nelle fabbriche a volte ancora mi guardano con pregiudizio rispetto delle mie competenze sugli aspetti tecnologici. Soprattutto in Italia, ci sono ancora molte aziende con concezioni molto rigide, per fortuna invece mi succede sempre più spesso di lavorare con aziende di altri paesi nelle quali tutto il personale direttivo è femminile”.

Raffaella Mangiarotti comunque non è del parere che la responsabilità sia solo del contesto, ma non manca di analisi critica rispetto al ruolo della donna nel mondo del lavoro.

“Per le donne continua a essere molto difficile essere assunte per lavori tecnici, e credo non si debba solo dare la responsabilità di questo agli uomini, molto spesso noi donne ci autolimitiamo e ci allontaniamo da certe discipline. È comunque una situazione che si può modificare e dovremmo essere noi stesse ad avere l’iniziativa di prenderci i nostri spazi nei settori tecnici, dimostrando che siamo in grado di farlo, senza timore né risentimenti”.

Il suo passaggio a Buenos Aires è coinciso anche con le manifestazioni organizzate in occasione della giornata mondiale della donna: “Mi hanno molto colpito le manifestazioni qui a Buenos Aires. in Italia non saremmo scese in così tante in piazza. Sono stata solo pochi giorni in questa città ma ho l’impressione che ci sia un grande pathos. Con le persone con cui ho avuto l’opportunità di parlare girando per la città, ho condiviso storie anche molto personali. Penso che fosse da tanto che non trovassi emozioni così spontanee e mi ha colpito il fatto di condividere un’esperienza umana in un negozio e non solo un’interazione commerciale. Credo che qui ci sia molto cuore e molto sentimento, un aspetto condiviso nella cultura Latina ma che secondo me stiamo perdendo, soprattutto a Milano, che purtroppo sta diventando una città molto fredda. È diventata una città europea ma non inclusiva, soprattutto per i giovani, si è trasformata in un posto esclusivo dove l’unico modo per potersi stabilire è vivere fuori città. Spero che sia una tendenza che cambi nei prossimi anni anche grazie a un approccio più sostenibile dell’urbanismo”.