Sorpasso, ma la strada è ancora lunga e il governo rimane il favorito a tagliare per primo la linea del traguardo elettorale del prossimo anno. E conta di farlo in proprio, nonostante lo spauracchio della protesta e dell’offerta militante, su più fronti, dei verdi che sognano in grande e già si vedono seduti al tavolo delle trattative per permettere alla squadra Albanese di rimanere al timone del Paese.
Il leader dell’opposizione, Peter Dutton, può comunque solo che essere soddisfatto di quanto è riuscito a fare in questi ultimi due anni, riportando la Coalizione a livelli competitivi, ma deve anche ringraziare la buona sorte dei preziosi spazi in cui inserirsi offerti dai laburisti nei campi dell’immigrazione, delle politiche energetiche, delle risposte non risposte contro il carovita, con tanto di ciliegina recentissima di quell’acquisto milionario che non ti aspetti della casa-vacanze del primo ministro e partner sulla costa del New South Wales.
Un acquisto a cui ha fatto seguito l’annuncio da parte di Dutton di un investimento di 5 miliardi, proprio nel campo dell’edilizia abitativa, per gettare le basi per la costruzione di 500 mila alloggi in nuove aree designate per lo sviluppo residenziale, assicurando finanziamenti per infrastrutture fondamentali come le reti elettriche, idriche e fognarie. Un fondo straordinario che sarà gestito dalla responsabile per le Infrastrutture, Bridget McKenzie.
Un annuncio che fa seguito ad altri impegni già presi dalla Coalizione per fare fronte al problema-alloggi come il taglio al programma d’immigrazione, il tetto del numero di studenti provenienti dall’estero e il congelamento, per due anni, della possibilità di acquisto di proprietà (a meno che non siano nuove) da parte di investitori stranieri e titolari di visti di residenza temporanea.
Un allungo, quindi, dell’opposizione su un tema indubbiamente caldo, mentre sarà invece un’arma a doppio taglio per Dutton quella delle relazioni industriali, nonostante i mal di pancia del mondo imprenditoriale e le indubbie sensazioni generali di un chiaro spostamento delle regole del gioco a favore del mondo sindacale. Le imprese, dopo avere dato il loro via libera alle riforme che erano state preannunciate da Albanese subito dopo la vittoria elettorale del 2022 e che sono state portate avanti dall’ex ministro delle relazioni industriali Tony Burke, ora stanno cominciando a ricredersi e a mostrare il loro disappunto chiedendo un ribilanciamento delle regole. “E’ indispensabile - ha detto il direttore del Consiglio nazionale dell’imprenditoria, Bran Black - che si garantisca un equilibrio tra gli interessi dei datori di lavoro e quelli dei sindacati”, sottolineando le preoccupanti realtà di 6600 insolvenze negli ultimi sei mesi, di una crescita economica scesa all’1% e livelli di produttività ai minimi degli ultimi dieci anni.
Palla insomma che passa alla Coalizione con tutti i rischi del caso perché Dutton, la vice leader liberale Sussan Ley e il ministro ombra per le relazioni industriali Michaelia Cash potranno anche formulare un piano d’alternativa sensato ed equilibrato, ma i laburisti non rinunceranno di certo a rigiocare la carta WorkChoices che, nel 2007, ha contribuito pesantemente a fare arrivare al capolinea l’amministrazione Howard.
Gli imprenditori sono insoddisfatti, ma gli elettori non possono di certo lamentarsi del fatto che Albanese abbia mantenuto la promessa dell’occhio di riguardo per i lavoratori a paga più bassa sostenendo le loro rivendicazioni salariali e intervenendo in diretta nel caso degli impiegati nel settore dei servizi per l’infanzia. Via libera anche a nuove leggi per difendere i diritti dei lavoratori temporanei, di quelli della ‘gig economy’ (basata sul lavoro occasionale, a chiamata), con forti penalizzazioni previste per le aziende che ricorrono ad espedienti per offrire una paga oraria al di sotto del salario minimo di categoria. Albanese e Burke (ora al suo posto Murray Watt, ex Agricoltura) hanno anche messo fuorilegge il cosiddetto ‘furto salariale’, con i datori di lavoro che non pagano quanto dovuto ai loro dipendenti o non rispettano i diritti dei lavoratori che rischiano pesanti multe e anche il carcere: permessi per violenza domestica e il diritto di non essere contattati fuori orario di lavoro sono altre ‘conquiste’ che i laburisti useranno nella loro campagna anti-Dutton, compresa una presunta inversione di marcia sulla contrattazione multi-datoriale.
Già pronti insomma gli slogan a favore delle conquiste laburiste e delle retromarce liberalnazionali: “Il governo Albanese si è fatto paladino delle richieste di aumenti salariali e ha introdotto vari benefici e protezioni a favore dei lavoratori, diritti e traguardi che i liberali faranno a pezzi. Nulla è cambiato, ricordatevi del piano WorkChoices di John Howard”.
Per ora Dutton, in materia, ha solamente promesso che darà nuova vita all’Australian Building and Construction Commission (“il poliziotto di quartiere”) e alla Register Organization Commission (un ente regolatore dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro). Ha anche affermato che abrogherà il diritto di disconnessione, rivedrà la legge sull’assunzione temporanea, cambierà la definizione di lavoro occasionale e ridurrà l’onere normativo per le piccole imprese.
La Coalizione quindi ‘costretta’ a puntare su una marcia indietro per ciò che riguarda le riforme del lavoro, senza dare però l’impressione di voler in qualche modo davvero riportare al ‘tutto come prima’ del governo Albanese, perché dovrà cercare di convincere gli elettori di non avere alcuna agenda nascosta e di non avere alcuna intenzione di togliere diritti e avanzamenti ottenuti negli ultimi anni. Un camminare sul filo del rasoio insomma, respingendo inevitabili accuse e avvisi sul ‘non fidarsi’, dati i precedenti, muovendosi tra lo scetticismo sempre più evidente di un elettorato abbastanza demotivato nei confronti della politica e dei politici di entrambi i maggiori schieramenti, con forti tentazioni, per una ragione o un’altra, di esprimere un voto di protesta a beneficio di verdi, teal e indipendenti vari, pronti a garantire un sempre maggiore frazionamento della politica.
Indipendentemente da quello che annuncerà in materia, la Coalizione non potrà evitare di diventare un bersaglio sulle relazioni industriali, anche perché il governo ha astutamente commissionato una revisione indipendente delle riforme introdotte, che completerà i lavori a fine gennaio, giusto in tempo quindi per fornire agli strateghi laburisti i dati necessari per apportare opportuni aggiustamenti prima di rivolgersi agli elettori a circa metà maggio.
Il duello Watt e Cash quindi diventerà uno dei più interessanti della prossima campagna. E lunedì scorso il ministro laburista, in un’intervista alla ABC, ha già tracciato la linea del governo parlando di differenze-chiave con l’opposizione. Ha infatti affermato: “In un momento in cui gli australiani stanno già attraversando momenti difficili, Peter Dutton e la Coalizione renderanno le cose più difficili per i cittadini. È il peggior momento possibile per ridurre salari e condizioni”.
Campagna insomma al negativo perché dubbi e paure sono una costante che funziona: non tutti credono agli spauracchi, ma è l’opposizione che deve convincere gli elettori che non sarà così, che non esiste un piano WorkChoices 2.0.
Altro handicap per Dutton sarà parlare del nucleare. Nonostante le difficoltà dei laburisti per ciò che riguarda il programma di riduzione delle emissioni di gas serra, la componente atomica (il leader dell’opposizione ha più volte cercato di spiegare che è un’aggiunta e non un’alternativa al programma di decarbonizzazione imperniato sulle rinnovabili) non procurerà un immediato sposamento di voti a favore della Coalizione, specie quando i dettagli che tutti chiedono dimostreranno che l’iniziativa è quanto mai costosa e che i modelli di riferimento sono ancora scarsi per fornire delle prove di convenienza che in Australia sono alla base di qualsiasi piano politico.
L’elettorato australiano, infatti, ormai ha raggiunto livelli di scetticismo che complicano decisamente la vita e le aspirazioni di qualsiasi governo e alternativa di governo. Sono pronti a criticare il minimalismo, ma temono troppi cambiamenti (vedi campagna del 2019 di Bill Shorten), Albanese li ha un po’ delusi, ma Dutton non li convince e per questo il leader laburista sarà il primo Primo ministro ad ottenere un secondo mandato dal 2004: Albanese quindi, come John Howard. Entrambi politici un tantino sottovalutati che non demordono tanto facilmente e che hanno perfettamente capito che l’avanti piano è la velocità preferita dagli elettori: niente grandi riforme e, per ora, niente particolari alternative. Inflazione che scende ma a ritmi tali da mantenere tutti insoddisfatti, occupazione sovvenzionata da migranti e impieghi pubblici che sono determinanti nel mantenere il segno più davanti alla crescita economica, Banca centrale che temporeggia rischiando di ripetere gli errori di circa tre anni fa, quando aveva promesso una cosa ed era stata poi costretta a farne un’altra, aspettando un po’ troppo per un’inevitabilità che ha complicato la vita a tutti. In quel caso aveva tenuto gli interessi troppo bassi oltre il necessario, ora potrebbe commettere lo stesso tipo di errore mantenendo il costo del denaro troppo alto più del necessario. E, come tre anni fa il punto di svolta potrebbe arrivare durante la campagna: è stato un handicap per Morrison, potrebbe diventare un jolly per Albanese.