Dei talenti italiani in Australia abbiamo incontrato il fiorentino Pietro Ridone, che lavora presso l’University of New South Wales (UNSW) dove si occupa di ricerca nel campo della biotecnologia, studiando in particolare i meccanismi di movimento dei batteri per sviluppare nuove terapie e strategie di trattamento, soprattutto per contrastare la resistenza degli antibiotici.

Ridone ha intrapreso il suo percorso accademico studiando Biologia Molecolare e Biotecnologie all’Università di Glasgow, in Scozia, dal 2008 al 2012. Dopo aver completato i suoi studi, ha lavorato per un breve periodo in laboratorio affinando le sue competenze nel campo della ricerca con l’obiettivo di ripartire. E così successivamente si è spostato a Sydney. “Ero partito con l’idea di rimanere un anno qui e invece ora sono più di dieci anni. Sono riuscito a trovare un lavoro part-time al Victor Chang Cardiac Research Institute, un’opportunità che mi ha fatto guadagnare del tempo per rimanere qui e anche esperienza in un laboratorio australiano”.

Pietro ha poi svolto un dottorato alla UNSW e un post-doc. Oggi è vicino a ottenere la residenza permanente in Australia. “Ora l’obiettivo è avere modo di poter tornare qui con un visto permanente, il passaporto e quant’altro. Però comunque fare un po’ di anni in Europa”, con la sua compagna hanno una figlia di due anni, e vorrebbe che crescesse a contatto con i nonni, “ma mi piacerebbe tenere aperta la finestra australiana e non avere le solite difficoltà di visto, dato che li ho fatti tutti ormai, tutti i visti possibili e immaginabili”.

L’interesse del ricercatore fiorentino per la biotecnologia è nato dal desiderio di trovare alternative ai processi chimici tradizionali.

Oggi, il suo lavoro di ricerca si concentra sul movimento dei batteri, un campo cruciale per lo sviluppo di nuove terapie. “Uno dei principali problemi della medicina oggi è la corsa contro il tempo nello sviluppo di antibiotici efficaci. Stiamo ancora usando antibiotici creati 20-30 anni fa, mentre i batteri evolvono resistenze molto più velocemente, poiché si replicano ogni mezz’ora e possono mutare acquisendo resistenze. Questo ha portato alla diffusione di ‘super batteri’ come lo staphylococcus aureus, che sono estremamente difficili da eliminare, anche in ambienti sanitari. Le terapie antibatteriche attuali, seppur forti, spesso causano effetti collaterali gravi, come la distruzione della flora intestinale”.

Ridone e il suo gruppo di ricerca lavorano per capire i meccanismi fondamentali del movimento batterico, collaborando anche con studenti che studiano come fermare i batteri responsabili delle infezioni urinarie (UTI) nei pazienti.

Le giornate di Pietro in laboratorio sono una combinazione di gestione e ricerca attiva. “La mattina inizio controllando le e-mail e pianificando la giornata con i miei collaboratori e studenti. Come senior postdoc, ho anche la responsabilità di supervisionare studenti che stanno scrivendo le loro tesi, correggere i loro lavori e fornire riscontri. Poi c’è la parte più pratica, che assomiglia quasi a un lavoro di cucina: seguiamo protocolli rigidi e prepariamo esperimenti proprio come si seguirebbe una ricetta”.

Il ricercatore scherza spesso sul fatto che alcuni esperimenti coinvolgono anche l’uso del microonde, ricordandogli la preparazione dei lieviti in cucina.

Anche se in passato gli è capitato di fare una scoperta inaspettata, Pietro ci tiene a sottolineare che questa è una visione molto romantica della scienza e delle scoperte scientifiche perché, ovviamente, dietro una scoperta c’è tanto, tantissimo lavoro dietro da parte dei ricercatori. “Fare una scoperta può avvenire in due modi: attraverso osservazioni casuali o grazie a un lungo lavoro pianificato. A volte, imbastendo un esperimento, si ottengono risultati inaspettati che aprono la strada a nuove indagini, come è accaduto con una pubblicazione del 2022 scaturita da un’osservazione casuale. Altre volte, la ricerca è simile a un processo ingegneristico, dove si lavora passo dopo passo per raggiungere un obiettivo prefissato, come costruire una bicicletta. Le scoperte casuali offrono un brivido d’eccitazione, mentre i progetti pianificati danno soddisfazione per il risultato raggiunto. Entrambi sono aspetti fondamentali della ricerca scientifica”.

Il ricercatore fiorentino vede un grande potenziale nella biotecnologia, il suo sogno è riportare in Italia una maggiore consapevolezza verso le soluzioni tecnologiche. “Mi piacerebbe approfondire degli aspetti delle biotecnologie per rivoluzionare i mercati di manifattura e di diverse industrie, da quella tessile, a quella dei materiali, a quella del cibo. Sarebbe divertente pensare che qualsiasi medicinale o prodotto che ti trovi in casa potrebbe essere rifatto praticamente nella propria abitazione. Vorrebbe dire che non si deve andare a comprare le cose da tutti i vari colossi dell’industria farmaceutica. Sarebbe bello riportare questa cultura in Italia, forse ancora più che fare il laboratorio, magari fare l’educazione verso queste tecnologie e queste prospettive che, secondo me, nel nostro Paese non se ne parla abbastanza”.

La visione di Pietro si allinea con quella di Drew Endy, docente di bioingegneria all’Università di Stanford, in California. Endy è uno dei pionieri della biologia sintetica e promotore dell’idea che le cellule possano essere programmate per produrre materiali e sostanze in maniera accessibile. Il docente americano sostiene che la biotecnologia può democratizzare la produzione, rendendo possibile la creazione di beni direttamente nelle mani delle comunità, senza la necessità di dipendere dalle multinazionali.

Proprio come teorizzato da Drew Endy, Ridone immagina un futuro in cui ogni città o regione potrebbe produrre farmaci, materiali o persino alimenti utilizzando bioreattori cellulari. “Questo approccio decentralizzato trasformerebbe mercati come quello tessile o farmaceutico, eliminando la dipendenza da giganti globali. Le persone avrebbero il potere di produrre ciò di cui hanno bisogno direttamente a casa o in piccoli impianti locali”. Sia Endy che Ridone vedono un futuro in cui le biotecnologie non solo ridisegnano i confini della scienza, ma cambiano la nostra vita quotidiana, portando la produzione nelle mani delle persone e rendendo l’innovazione accessibile a tutti.