C’è un passaggio, nella nuova ‘pagella’ del Fondo Monetario Internazionale (FMI) sull’economia australiana, che riassume bene il momento che stiamo vivendo: il Paese sta gestendo un soft landing in un contesto globale incerto, l’inflazione è scesa, il mercato del lavoro regge, la domanda privata torna a respirare. Ma, subito dopo i complimenti, arrivano le condizioni: servono riforme fiscali profonde, più efficienza nella spesa pubblica, un’agenda strutturale credibile per la produttività.
Il Tesoriere Jim Chalmers ha letto nel giudizio del Fondo una “potente conferma” della strategia del governo, rivendicando un’inflazione ridotta a una frazione del picco post-pandemico, la discesa del debito, due surplus consecutivi, oltre 1,2 milioni di nuovi posti di lavoro e tre tagli dei tassi quest’anno.
Sul piano macro, i numeri sono difficili da contestare. La crescita è attesa all’1,8 per cento nel 2025 e al 2,1 nel 2026; l’inflazione, pur con qualche ricomparsa di pressioni sui prezzi delle abitazioni e dei servizi, si è avvicinata al corridoio, tanto atteso e voluto dalla banca centrale, del 2-3 per cento; la disoccupazione, intorno al 4,3 per cento, resta bassa in prospettiva storica. La Reserve Bank ha, infatti, potuto allentare il freno, tagliando i tassi di 75 punti base dal picco di novembre 2023. La fotografia, insomma, è quella di un’economia che non è entrata in recessione nonostante la stretta di politica monetaria più dura degli ultimi decenni.
Ma sotto la superficie, l’immagine è meno rassicurante. Dopo anni in cui i prezzi sono andati decisamente a una velocità di salita maggiore di quella dei salari, la crescita delle retribuzioni ha finalmente recuperato di qualche decimale sull’inflazione. Eppure, in termini reali, i salari medi restano grosso modo sui livelli del 2011: un decennio di potere d’acquisto bruciato in tre anni, che solo ora inizia lentamente a ricostruirsi.
Per chi fa la spesa, paga il mutuo o l’affitto e vede aumentare tariffe e servizi, la formula “la crescita sta ripartendo” suona più come un dato buono per gli economisti che una consolazione.
È proprio qui che il Fondo alza il livello dell’analisi e mette sul tavolo il tema politico più scomodo: la struttura del nostro sistema fiscale e della spesa pubblica. Nel linguaggio misurato dell’FMI, la ricetta è chiara: spostare il peso del prelievo da lavoro e imprese verso la tassazione indiretta e delle risorse, ampliare la base della GST, reintrodurre una forma di tassazione sui profitti minerari, rivedere esenzioni e distorsioni, e al tempo stesso mettere sotto controllo la crescita delle grandi voci di spesa – dal National Disability Insurance Scheme al sistema di sostengo e supporto per gli anziani, salvaguardando gli investimenti produttivi.
Per un governo laburista, è cryptonite. Chalmers ha già escluso un aumento della GST e il ritorno della mining tax che contribuì alla caduta di Kevin Rudd quindici anni fa. La distanza fra quello che gli economisti considerano necessario per la sostenibilità di lungo periodo e ciò che la politica ritiene sopportabile elettoralmente resta ampia. Nel frattempo, la spesa federale è sui livelli più alti dagli anni Ottanta (esclusa la parentesi pandemica) e le finanze di Stati e Territori sono sotto pressione per infrastrutture, sanità e servizi sociali.
Il governo rivendica, non senza legittime ragioni, di aver imboccato la strada delle riforme “micro”, a piccoli passi, partendo dal momento di confronto del tavolo sulla produttività di agosto,
È un’agenda reale, ma ancora frammentata nell’applicazione, che rischia di non essere all’altezza di andare al centro del tema economico che, ne abbiamo parlato spesso, si chiama produttività. Da oltre un decennio la capacità dell’economia australiana di generare maggiore efficienza a parità di lavoro e capitale è scesa sensibilmente, ben al di sotto dei ritmi degli anni Novanta e inferiore alla media OCSE. È questa stagnazione, più che un’improvvisa avidità nei profitti delle imprese o una fiammata di rivendicazione di diritti dei lavoratori, ad aver eroso le basi di una crescita salariale robusta. Finché la produttività non riparte, ogni aumento dei salari rischia di tradursi in nuova inflazione o in tagli all’occupazione. È la trappola in cui il Paese si dibatte: salari reali ancora sotto la linea di galleggiamento e, allo stesso tempo, una banca centrale che non può permettersi eccessi di generosità in continui tagli del costo del denaro.
Il Fondo monetario internazionale, così come le indicazioni del governo federale, vedono nella transizione climatica e nella strategia Future Made in Australia una possibile via d’uscita: se gestita con disciplina, la corsa globale verso le emissioni nette zero può diventare la prossima grande ondata di investimenti e di produttività, non solo nei settori più ovvi, energie rinnovabili, batterie, minerali critici, ma lungo intere catene di produzione del valore industriale e tecnologico.
Ma perché sia davvero una “golden opportunity”, come ripete Chalmers, bisogna evitare che l’industria verde si trasformi nell’ennesimo veicolo di sussidi a pioggia, progetti annunciati e mai realizzati, rendite protette da regolazioni su misura. Un altro terreno decisivo, che il Fondo evidenzia con forza, è quello immobiliare. L’Australia resta un paese dove l’offerta di nuove abitazioni è frenata da vincoli strutturali: carenza di manodopera qualificata, costo del terreno, produttività bassa delle costruzioni, regolazioni urbanistiche eccessivamente complesse. Il risultato è che ogni rimbalzo della domanda si traduce in un’ulteriore impennata dei prezzi e in un peggioramento dell’accessibilità, soprattutto per i giovani e per le famiglie immigrate di nuova generazione, inclusi molti nella nostra comunità, in particolare tutti coloro che sono arrivati da pochi anni in Australia.
L’FMI invita a un cambio di paradigma: via progressiva dalle onerose e impattanti stamp duties verso forme di tassazione applicate nel corso degli anni sulla proprietà, uso più efficiente del patrimonio edilizio esistente, maggiore coordinamento fra i diversi livelli di governo, revisione del trattamento fiscale dell’investimento immobiliare. Per ora, però, il dibattito pubblico continua a girare intorno a misure di sostegno alla domanda, incentivi per gli acquirenti della prima casa, programmi di garanzia pubblica, tutte forme di supporto che nel breve aiutano ma, con l’offerta bloccata, rischiano di alimentare ulteriormente la spirale dei prezzi.
In questo quadro, la ‘morbidezza’ dell’atterraggio macroeconomico non deve farci dimenticare la durezza dell’esperienza microeconomica di milioni di cittadini. La narrativa governativa del “progresso rimarchevole” convive con la realtà di stipendi che, in termini di potere d’acquisto, sono tornati indietro negli anni; di servizi pubblici sotto stress per l’invecchiamento della popolazione; di un NDIS tanto essenziale quanto finanziariamente esplosivo; di Stati che accumulano debito per tenere in piedi infrastrutture e ospedali. L’Australia resta, rispetto ad altre economie avanzate, in una posizione invidiabile: crescita positiva, disoccupazione relativamente bassa, debito pubblico contenuto, rating tripla A confermato. Ma proprio per questo, il messaggio del Fondo non va archiviato come l’ennesima “nota di contorno” a una valutazione tutto sommato lusinghiera. È un invito, l’ennesimo, a usare la finestra del soft landing per fare ciò che non si è voluto o saputo fare nel decennio scorso: una vera riforma fiscale, una strategia di produttività che non sia solo slogan, una ridefinizione dei confini e delle responsabilità fra Canberra e gli Stati e i Territori.
Se la politica continuerà a considerare intoccabili tutti i tabù, dalla GST alla tassazione delle rendite minerarie e immobiliari, il rischio è chiaro: non un crollo spettacolare, ma una lenta deriva verso una “stagnazione soft’, e un decollo che diventa sempre più difficile da effettuare, perché se i grafici a livello macroeconomico continuano a rassicurare, la vita quotidiana di lavoratori, famiglie e piccole imprese si fa ogni anno un po’ più complicata. È una lezione che noi italiani, in Australia e nella madrepatria, conosciamo bene. L’Australia ha ancora il tempo e gli strumenti per evitarla. Ma il tempo, come sempre in economia, non è infinito.