Mutamento radicale, sterzata drammatica nella lunga storia del rapporto tra l’Italia e i suoi figli dispersi nel mondo. Il nuovo decreto Cittadinanza – approvato definitivamente alla Camera con 137 voti favorevoli, 83 contrari e due astenuti – introduce restrizioni gravissime allo ius sanguinis, minando le basi del diritto di sangue per ottenere la cittadinanza italiana.
Ma tra delusione e turbamento, il provvedimento contiene anche un gesto di riconciliazione: un emendamento che consente agli italiani emigrati, costretti in passato a rinunciare alla cittadinanza per necessità lavorative, di poterla riacquisire.
Un diritto restituito, tuttavia, solo a chi è nato in Italia.
La significativa concessione ha incontrato reazioni decisamente contrastanti nella comunità locale: chi sente che sia “ormai troppo tardi” e chi, invece, la percepisce come un’opportunità per rinnovare un legame mai interrotto, custodito nelle storie familiari, nei dialetti ancora parlati lontano dalla Penisola, nei gesti e nelle memorie di chi, pur a migliaia di chilometri di distanza, non ha mai smesso di sentirsi italiano.
Leonardo Santomartino, oggi presidente della Federazione Lucana di Melbourne, è uno dei tanti testimoni italo-australiani di questa lunga attesa. Nato nel piccolo borgo di Montemurro, in Basilicata, è emigrato in Australia nel 1962. Da allora, ha trasformato la nostalgia in impegno: prima come segretario dell’associazione Montemurro San Rocco, poi del sodalizio Val D’Agri, e infine come figura di riferimento della Federazione dei Lucani d’Australia.
“La battaglia per riacquisire la cittadinanza è durata quasi trent’anni – ha raccontato con pacata amarezza –. Ma ormai, credo che non mi interessi più. Abbiamo raggiunto un’età in cui non sentiamo più l’urgenza di certe rivendicazioni. Anche se, a casa mia, ci sono tre italiane: mia moglie Pina, che non è mai diventata cittadina australiana ed è ancora residente permanente, e le nostre figlie Lisa e Gisella, entrambe insegnanti di Italiano alle scuole superiori”.
Santomartino ha evidenziato, inoltre, come la procedura per il riacquisto della cittadinanza, pur se finalmente concessa, rischi di rimanere poco accessibile: “Credo che non assisteremo a tante richieste da parte della comunità locale – ha aggiunto –. Non per il costo, piuttosto per i tempi burocratici che saranno lunghi e sfiancanti”.
Del tutto divergente è invece il sentimento che anima Frank Di Blasi, pilastro della comunità italiana in Victoria, insignito della Medaglia dell’Ordine d’Australia nel 1984 e del cavalierato dal presidente della Repubblica italiana Francesco Cossiga nel 1986, che continua ancora oggi, attraverso il suo impegno sociale, a narrare e immortalare la quotidianità affettuosa, le celebrazioni gioiose e i successi degli italo-australiani.
Originario di Vizzini, paesino in provincia di Catania, in Sicilia, è giunto a Melbourne all’età di diciassette anni, nel gennaio 1962. Solo due anni più tardi, è stato costretto a rinunciare alla cittadinanza italiana per mantenere il suo impiego presso un’azienda inglese in Victoria.
“L’ho fatto a malincuore – ha asserito –. Quando ho saputo del decreto, mi è sembrato che una porta si fosse finalmente riaperta. Attenderò luglio per presentare la mia richiesta: perché non è solo un documento, ma è per me un abbraccio ritrovato, un ritorno a casa”.
Nonostante si sia perfettamente integrato nella società australiana e italo-australiana, Di Blasi ha sempre vissuto la rinuncia alla sua cittadinanza nativa come una perdita e una ferita profondissima. Per centinaia di migliaia di migranti all’estero, riacquisire la cittadinanza italiana significa infatti ottenere un riconoscimento ufficiale della propria storia personale. Ma ribadisce al contempo come l’identità, alla fine, non possa essere misurata solo con timbri e documenti.
“Mi sono sempre impegnato per rappresentare la comunità italiana locale, ma allo stesso tempo mi sentivo spogliato della mia identità – ha aggiunto –. Dentro di me, c’è sempre stato quel desiderio di vedere nero su bianco il mio essere italiano, di riconciliarmi con quella parte di me rimasta in Sicilia”.
Nonostante decreti-legge e governi che decidono delle sorti di migliaia di cittadini senza sforzarsi di comprenderli, le storie degli italiani all’estero – e dei concittadini emigrati in Australia – ci ricordano come l’Italia, dopotutto, non sia soltanto un territorio geograficamente lontano, ma un sentimento che resiste nel tempo. Che sopravvive ancora nei ricordi, nella lingua tramandata ai figli, nei piatti cucinati nelle cucine d’oltreoceano e nella musica delle feste patronali celebrate sotto cieli stranieri.