Per gli italo-australiani e per la comunità diasporica in generale, l’identità culturale non può essere generalizzata o catalogata. C’è un’innegabile frattura che si verifica per mano dell’esperienza migratoria, che si ripercuote attraverso le generazioni, rendendo l’esperienza della propria eredità del tutto singolare. 

Alcuni di noi sono nati e cresciuti nel Belpaese, altri non hanno mai messo piede sul suolo italiano. C’è chi parla la lingua con perfetta scioltezza e chi invece parla solo frammenti del terso dialetto dei nostri nonni. C’è chi ha subìto il razzismo, la povertà e l’indigenza nella lotta per ritagliarsi una vita migliore in un nuovo Paese, e chi invece è cresciuto in un ambiente privilegiato proprio grazie a quei sacrifici. Come comunità culturale che ha resistito, perseverato e trionfato, è di grande importanza che nel 2022, gli italiani si chiedano: chi siamo? In cosa crediamo? Come possiamo unirci per riconoscere sia le difficoltà del passato che i privilegi attuali quando affrontiamo le questioni del mondo moderno?

Queste sono le domande protagoniste all’evento ‘Made in Italy, Grown in Australia ’ svoltosi l’11 ottobre presso la sede del Co.As.It. di Carlton. La scrittrice, ricercatrice e docente di fama internazionale Maria Pallotta-Chiarolli ha guidato un panel multigenerazionale di relatori italiani e italo-australiani, tutti chiamati a rispondere a questi importanti temi.

Pallotta-Chiarolli ha parlato di un viaggio che ha fatto con la sua famiglia a Cowra. Ha spiegato che, mentre visitava i numerosi monumenti dedicati ai prigionieri di guerra italiani, ha notato una netta mancanza di riconoscimento dei Primi Popoli sul posto – la comunità aborigena Erambie Mission era a due passi, dall’altra parte del fiume. Ha sottolineato che questo è un esempio perfetto di come la comunità italiana possa far leva sul suo privilegio, senza dimenticare ciò che i nostri antenati hanno sopportato. “Che cosa possiamo fare come italiani a questo proposito; potremmo andare lì e dire:  ‘Potete per favore riconoscere i Primi Popoli qui, mentre noi riconosciamo i nostri prigionieri di guerra?’”.

A seguire al microfono è stata Sara Bavato, traduttrice e giornalista italiana de Il Globo e una delle fondatrici di ‘Ascolta Women’. Trasferitasi in Australia dall’Italia nove anni fa, Bavato ha parlato della posizione unica che occupa come giornalista che lavora tra due culture e della messa in discussione della propria identità di italiana: “Sono nata e cresciuta lì, parlo la lingua e pensavo che questo mi rendesse italiana, ma non è così – ha raccontato –. Perché ho incontrato molte persone nate in Australia, alcune che non hanno mai messo piede in Italia, altre che non parlano la lingua, ma che si sentono italiane; e questo dovrebbe essere riconosciuto”.

Poi è stata la volta di Matteo Vergani, docente di Sociologia alla Deakin University, giunto in Australia dieci anni fa, che ha parlato del suo conflitto interiore tra l’orgoglio italiano e la profonda frustrazione per il suo Paese. Pur riconoscendo che l’Australia è tutt’altro che perfetta, Vergani ha lamentato il fatto che nel suo settore della sicurezza sociale, un senso di chiusura mentale e di fissità ideologica tende a pervadere le leggi e le infrastrutture italiane.

Francesca Rizzoli, di origini cilene e italiane, regista, fotografa e giornalista che lavora per SBS, ha parlato per la prima volta del suo prossimo documentario The Love of My Life, un cortometraggio audace e senza compromessi che racconta la storia di Gail e Lisette, che hanno fatto coming out come transgender e lesbiche a metà degli anni ’50. Rizzoli ha poi precisato che il suo film, pur essendo una storia di trans, è in fondo una storia umana. Ha spiegato che, in quanto migrante, ha potuto immedesimarsi nella lotta di Gail e Lisette per trovare un senso di appartenenza, pur riconoscendo il suo relativo privilegio rispetto alle due.

Tony Romanelli, attivista gay italo-australiano, ha classificato gli aspetti positivi e negativi dell’essere italiano, dal suo punto di vista di uomo queer. Nato da genitori immigrati in una cittadina di campagna del Perth, Tony ha citato la famiglia, il collettivismo, il cibo e la cultura come punti di forza indelebili dell’appartenenza a una comunità italiana. Tuttavia, l’ipermascolinità tossica, la paura intrinseca della brutta figura e una generale mancanza di rappresentazione sono aspetti della cultura italiana che ha trovato particolarmente dannosi. 

L’ultimo oratore è stato il romanziere italo-australiano Archimede Fusillo, che ha intitolato il suo intervento ‘No Voice, No Power’ durante il quale ha sostenuto la necessità di rappresentare tutte le culture e i gruppi emarginati, in particolare nell’ambiente accademico.
Conclutasi la tavola rotonda è iniziata la sessione di domande e risposte, un vero e proprio momento clou della serata dove molti hanno condiviso le proprie esperienze di discriminazione, di gioia, di migrazione e altro ancora. Sebbene affrontare la questione di cosa significhi essere italiani possa sembrare un’impresa titanica, con tutto ciò che ci unisce e ci divide, seduti nella sala conferenze del Co.As.It., tra risate e conversazioni impegnate, si sente la speranza che insieme, attraverso dialoghi aperti e generosi come questi, la comunità possa trovare un’immensa connessione nella ricerca della risposta.