BUENOS AIRES – Il governo ha inviato al Congresso il suo progetto di riforma del lavoro e, al di là del nome ufficiale di “Modernizzazione del lavoro”, ciò che propone è un cambiamento ampio di diverse regole di base che oggi regolano il lavoro in Argentina.
L’iniziativa interviene su ferie, orario di lavoro, indennizzi, attività sindacale e benefici non salariali. Il confronto con il sistema attuale permette di comprendere con precisione la portata di ciascuna modifica.
Uno dei cambiamenti più visibili riguarda le ferie. Oggi devono essere fruite in un unico periodo, salvo eccezioni, anche se nella pratica quotidiana molti lavoratori riescono a frazionarle tramite accordi. Il progetto formalmente consente di dividerle, ma ogni periodo deve durare almeno sette giorni. Inoltre, impone che almeno una volta ogni tre anni una parte del riposo cada durante l’estate, nel rispetto dei minimi stabiliti.
Nell’organizzazione del tempo di lavoro emerge un’altra differenza importante. Attualmente, se un dipendente lavora più ore, l’azienda deve pagare gli straordinari con una maggiorazione. Il testo inviato al Congresso introduce un cambiamento: autorizza il “banco ore”, un sistema che consente di compensare le ore extra con giorni di riposo successivi, senza pagamento aggiuntivo. L’accordo deve essere volontario e messo per iscritto, ma implica una logica diversa rispetto a quella attuale, in cui l’eccesso di orario genera un costo immediato per il datore di lavoro.
Cambiano anche le indennità di licenziamento. Oggi sono calcolate sulla migliore retribuzione mensile dell’ultimo anno, senza tetti specifici e includendo la maggior parte delle voci aggiuntive. Il progetto mantiene la formula di “un mese per ogni anno lavorato”, ma introduce dei limiti: la base di calcolo non potrà superare tre volte il salario medio del contratto collettivo e avrà un minimo pari al 67% di tale valore. Inoltre, viene autorizzato l’uso di fondi o assicurazioni di fine rapporto, una pratica che oggi esiste solo nel settore delle costruzioni. In altre parole, si passa da un sistema unico e uniforme a uno più limitato e variabile a seconda del settore.
Il capitolo sindacale segna un’altra svolta. Nel regime vigente, i contratti collettivi continuano a essere validi anche dopo la scadenza, una pratica nota come “ultraattività”, che evita la perdita di diritti mentre si negozia un nuovo accordo. Il progetto elimina questa continuità automatica e consente la sospensione delle clausole quando generano “distorsioni”, aprendo a una negoziazione più flessibile, ma anche più instabile per i lavoratori.
A ciò si aggiunge la riduzione del tempo di attività sindacale retribuita per i delegati – dieci ore mensili – e l’obbligo di chiedere autorizzazione per svolgere assemblee all’interno dell’azienda, che inoltre non saranno retribuite. Viene anche stabilito che blocchi e occupazioni degli stabilimenti saranno considerati infrazioni molto gravi. Il sistema attuale riconosce diritti sindacali più ampi e non qualifica queste condotte come irregolari.
Uno dei punti più delicati è il ritorno dei benefici non remunerativi. Oggi, dopo l’abolizione dei ticket alimentari nel 2007 e l’orientamento fissato dalla Corte Suprema, quasi tutte le prestazioni legate al lavoro rientrano nel salario. Il progetto modifica questa impostazione: definisce come “benefici sociali”, e quindi non salariali, i servizi di mensa e alimentazione, anche in strutture esterne contrattate dall’azienda. “Non sono cumulabili né sostituibili in denaro e non faranno parte della base salariale”, afferma il testo.
Sebbene non menzioni esplicitamente il ritorno dei ticket, nella pratica apre a un sistema simile, subordinato però alla regolamentazione. Rispetto alle norme attuali, ciò implica che una parte del reddito del lavoratore potrebbe tornare a essere esclusa da contributi, tredicesima e indennità.
La riforma introduce anche una forte digitalizzazione: buste paga, certificati medici e registri esisteranno solo in formato elettronico, con piena validità legale. Oggi il sistema è misto e dipende da ogni singola azienda. Inoltre, vengono estesi i periodi di prova nel lavoro domestico (sei mesi) e in quello agricolo (otto mesi), durante i quali la cessazione del rapporto non comporta indennità, mentre la normativa vigente prevede oggi tempi più brevi.
Nel complesso, il progetto combina la continuità di alcuni diritti fondamentali con cambiamenti significativi nelle modalità di applicazione. Le ferie continueranno a esistere, ma potranno essere frazionate; l’orario di lavoro resterà regolato, ma potrà essere riorganizzato; l’indennità rimarrà, ma con importi più contenuti; i benefici continueranno a essere ammessi, ma non necessariamente come salario; l’attività sindacale sarà riconosciuta, ma con margini operativi più ridotti all’interno delle aziende. Ora spetterà al Congresso decidere quanta parte di questa riorganizzazione diventerà legge e quanta invece si perderà lungo il percorso di una negoziazione che ha già messo in tensione il governo, i sindacati e una parte dell’opposizione.