WASHINGTON - Il Pentagono starebbe mettendo a punto una delle riorganizzazioni più radicali dello Stato Maggiore statunitense degli ultimi decenni. Secondo quanto rivelato dal Washington Post, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth intende rompere con lo status quo riducendo il numero di generali a quattro stelle e declassando storici centri di potere militare, a partire dal Comando Europa.
Il progetto, che il Capo di Stato Maggiore Dan Caine presenterà ufficialmente nei prossimi giorni, riflette la nuova Strategia di Sicurezza Nazionale dell’amministrazione Trump: porre fine all’era in cui gli Stati Uniti sostenevano l’intero ordine mondiale “come Atlante”, per concentrare risorse e uomini sull’emisfero occidentale.
Il piano prevede un drastico accorpamento dei comandi combattenti globali, riducendo il numero di ammiragli e generali a quattro stelle che riferiscono direttamente al vertice della Difesa.
La nuova architettura del Pentagono ridisegna profondamente la mappa del potere militare globale, semplificando la catena di comando attraverso accorpamenti strategici. Il pilastro di questa riforma è la nascita dell’Americom (o Comando Americhe), un quartier generale unico che unirà lo U.S. Southern Command e lo U.S. Northern Command, con l’obiettivo di centralizzare ogni operazione militare all’interno del continente americano.
Parallelamente, il raggio d’azione internazionale degli Stati Uniti verrà drasticamente razionalizzato: nascerà infatti lo U.S. International Command, un nuovo super-comando destinato ad assorbire e declassare tre pilastri storici della strategia statunitense all’estero, ovvero il Comando Europa (EUCOM), il Comando Centrale in Medio Oriente (CENTCOM) e l’Africa Command (AFRICOM).
Al di fuori di questa grande fusione, manterranno la propria autonomia operativa solo i comandi specializzati o geograficamente critici, come l’Indo-Pacific Command, il Cyber Command, il Comando per le Operazioni Speciali, oltre ai comandi Spaziale, Strategico e dei Trasporti.
Questa “operazione di accorpamento” non è solo burocratica, ma profondamente politica. L’intenzione di Hegseth è spostare l’asse strategico dal Medio Oriente e dall’Europa verso la difesa dei confini domestici e l’influenza nel quadrante americano. È la traduzione pratica della volontà di disimpegno dai teatri bellici permanenti all’estero per investire sulla sicurezza interna.
Nonostante la spinta riformatrice del Pentagono, il piano deve scontrarsi con la realtà legislativa di Washington. Al Congresso è infatti in dirittura d’arrivo la legge sulla politica di difesa da 900 miliardi di dollari.
Sebbene la norma codifichi gran parte dell’agenda di Trump, contiene clausole ferree che frenano i piani di disimpegno immediato. La legge, infatti, impone al Pentagono di mantenere almeno 76.000 truppe nel continente europeo per periodi prolungati.
Inoltre, la Camera ha già approvato restrizioni che limitano la capacità del Presidente di procedere a ritiri di truppe senza aver prima consultato la Nato o riferito formalmente al Congresso.
La sfida tra la visione di Hegseth, orientata a una snella “difesa dell’emisfero”, e i vincoli legislativi che proteggono l’impegno atlantico, segnerà il dibattito sulla sicurezza nazionale nelle prossime settimane.