MILANO - Prima l’arresto, poi i cinque mesi di carcere e i due agli arresti domiciliari, quindi, finalmente l’assoluzione con formula piena. E adesso la Corte d’appello milanese gli ha riconosciuto 60.000 euro quale riparazione al danno per l’ingiusta detenzione subita.
Eppure da subito era emerso che Erminio Dedodato, imprenditore di Vergiate nel varesotto, nulla aveva a che fare con quel giro di spaccio di droga finito al centro dell’inchiesta della Polizia che nel luglio 2020 aveva portato al suo arresto e a quello di un 43enne albanese che, da subito aveva spiegato come i due chili di cocaina trovati in un deposito in uso all’azienda di Diodato fossero suoi, scagionando l’imprenditore che, a detta del 43enne, nulla sapeva del giro di spaccio.
Alla confessione però l’autorità giudiziaria non aveva creduto procedendo con la custodia cautelare dell’imprenditore e chiedendone poi il rinvio a giudizio. Assistito dall’avvocato Daniele Galati, che lo ha seguito passo dopo passo credendogli sempre e, anzi, trovando le prove che lo scagionavano dalle accuse, Diodato ha ottenuto una riparazione dallo Stato pari a 60.000 euro. Tanto ha assegnato la Corte d’appello del capoluogo regionale lombardo accogliendo la richiesta, per l’ingiusta detenzione. Certo non quanto era stato chiesto, “ma almeno è abbastanza per ricominciare, visto che il mio assistito ci ha rimesso un’attività da 240.000 euro all’anno. La richiesta risarcitoria era intorno al mezzo milione” sottolinea il legale.
“Ho perso tutto ciò per cui ho lavorato una vita - aggiunge Diodato -. Quella mattina quando sono stato chiamato non ho nemmeno voluto contattare l’avvocato: sapevo di non aver fatto nulla di male. È stato tutto doloroso e surreale, come se parlassero di un’altra persona”.
Nel corso delle indagini i poliziotti avevano trovato, dopo una telefonata anonima, oltre due chili di cocaina e una pressa che, secondo gli inquirenti, sarebbe servita per confezionare i panetti di stupefacente in un deposito della società di Diodato. Per lui sono scattate le manette così come per l’albanese di 43 anni. Questi ha subito confessato di essere il solo responsabile per la droga, scagionando l’imprenditore che è comunque rimasto in carcere.
L’avvocato Galati spiega cosa hanno rivelato le indagini e cosa è accaduto al processo sino all’assoluzione: “Già dopo i primi dieci giorni dall’arresto c’erano elementi tali da far cadere la custodia cautelare in carcere. L’uomo arrestato con lui per detenzione ai fini di spaccio lo ha immediatamente scagionato dichiarando che la droga era sua e che il mio assistito non sapeva nulla. Anche le impronte dattiloscopiche trovate sui panetti di stupefacente hanno rivelato che il signor Diodato non li aveva mai toccati”.