Quando il primo volo da Melbourne è atterrato a Sydney poco prima delle otto del mattino dello scorso lunedì 23 novembre, i passeggeri sono stati accolti da bagnini in costume e ciambelle colorate, ormai sinonimo del triple zero da COVID-19 raggiunto dal Victoria: zero contagi, zero decessi e zero casi attivi.
Si tratta di un grande traguardo per lo Stato, e mentre per gli epidemiologi siamo di fronte all’eliminazione del virus all’interno della comunità, per gli esperti medici non siamo neanche lontanamente vicini alla sua eradicazione.
Intanto, il confine tra New South Wales e Victoria è stato riaperto dopo ben 138 giorni, dando immediatamente nuova vita a una delle rotte aeree più trafficate al mondo, con un totale di 25 voli da Melbourne ad Harbour City, soltanto al primo giorno dell’allentamento delle restrizioni relative ai viaggi interstatali. Per la prima volta dallo scorso 8 luglio, si torna a viaggiare tra i due Stati più popolosi d’Australia, senza dover sottostare al periodo di quarantena obbligatorio di due settimane.
“Tra una settimana rivedrò mia figlia, festeggeremo il Natale tutti insieme”, ha raccontato Josephine, residente a Melbourne. Sua figlia Elena abita in New South Wales e, durante la pausa tra il primo e il secondo lockdown, i suoi genitori avevano attraversato il confine per rivederla e per trascorrere del tempo insieme.
“Siamo arrivati a Sydney alla fine di giugno ed è stato assolutamente straordinario: in pochissimi indossavano la mascherina, i negozi erano tutti aperti, le persone uscivano per andare a cena al ristorante. I ritmi della città erano sempre gli stessi, mentre a Melbourne, nonostante i primi allentamenti delle restrizioni, ancora convivevamo con le dinamiche dell’isolamento”, ha continuato.
Josephine e suo marito hanno lasciato il New South Wales il giorno prima che il Victoria chiudesse di nuovo i suoi confini: “Siamo tornati a Melbourne in auto, mentre moltissimi provavano a rientrare in New South Wales, ma nessuno ci ha mai fermato per i controlli interstatali – ha spiegato Josephine –. Sicuramente, è un sollievo sapere di poter tornare a viaggiare senza alcun impedimento, ma mia figlia ha vissuto in Europa e ha girato il mondo per più di diciotto mesi, quindi devo ammettere che non abbiamo sofferto moltissimo per la lontananza dettata dal lockdown. Ovviamente, sapere che adesso è a Sydney, a poche ore di aereo di distanza, mi rende molto più serena”.
Josephine, cittadina del Victoria, che riabbraccia sua figlia Elena, residente in NSW
Un’inattesa debacle, è stata così denominata, invece, la chiusura delle frontiere statali dalle migliaia di attività commerciali al confine tra New South Wales e Victoria, che si sono ritrovate di fronte alla separazione di una cittadinanza affezionata al motto “due città, una sola comunità”.
Albury e Wodonga, ad esempio, hanno dovuto fare a meno, per oltre cinque mesi, della clientela che fluisce di solito tra entrambi gli Stati.
“C’è ancora poca affluenza, nonostante i confini ora siano aperti – ha raccontato Roberto Vinawak, general manager e chef del ristorante pizzeria Roma Restaurant ad Albury –; fortunatamente, al momento possiamo ricevere fino a 30 persone nelle nostre sale, considerando le restrizioni relative alle distanze di sicurezza, e continuiamo a lavorare con le consegne a domicilio. Durante il lockdown, i nostri dipendenti hanno infatti usufruito di un pass speciale, rilasciato dal governo statale, per poter attraversare la frontiera per motivi lavorativi. I tempi di consegna erano ovviamente più lunghi, perché ogni volta al confine dovevano sottostare ai controlli ufficiali. Adesso ci auguriamo che il Natale ci riporti tutti alla normalità di un tempo”.
A differenza di Albury-Wodonga, che fortunatamente presentano due distretti commerciali distinti, su entrambi i lati del fiume Murray, il confine chiuso tra Echuca e Moama – rispettivamente in Victoria e in NSW – è stato devastante per l’economia. Secondo Echuca-Moama Tourism, l’80% dei visitatori di Moama proviene dal Victoria, il sobborgo infatti non ha un CBD, una biblioteca, un ospedale e nemmeno una banca. I proprietari dei ristoranti, ad esempio, giungevano al checkpoint al confine, muovendosi velocemente verso un’altra automobile che attendeva già dall’altro lato della frontiera con il timore che i pasti da consegnare potessero raffreddarsi o che potessero perdere clienti per i conseguenti ritardi.
“Siamo molto felici che il confine sia stato finalmente riaperto, sogno già l’euforia e gli avventori di un tempo, prima che questo lungo isolamento cominciasse – ha dichiarato Abel, proprietaria del Moama’s Perricoota Vines Retreat –. Finalmente avremo il nostro lieto fine, ma è stata dura”.