Un paio di volte a settimana, rossa o bianca purchè di qualità da allevamento al pascolo, senza mangimi con ormoni, nel nostro stile alimentare c’è la carne.

L’associazione mentale classica è hamburger e bistecca ma sono sempre più i fanatici dell’American Style ossia di questi due cibi declinati secondo la vecchia scuola delle steakhouse americane: tagli scelti particolari, succulenti, arricchiti di salse e vegetali arrosto che rendono l’esperienza del momento in cui ci concediamo di mangiare la carne una cosa unica e non un pasto normale. 

Escludendo la nostrana “fiorentina” che non ha a che vedere con i piatti iconici della steakhouse dei grandi ristoranti di New York, Chicago e San Francisco, permeati dalla cultura gastronomica americana degli anni ‘50, i due tagli più usati a livello internazionale sono Black Angus e Wagyu. 

Quest’ultima é la carne migliore, piú pregiata e, secondo detta di molti, la piú costosa del mondo. Ha una marmorizzazione inconfondibile, ció vuol dire che ha molto grasso intramuscolare. È proprio questa marmorizzazione a rendere la carne cosí tenera e aromatica. Le venuzze di grasso non sono per niente malsane o nocive, al contrario. Questo tipo di grasso ha una costellazione di omega 3 e 6 ideale per la nutrizione dell’essere umano. Questo tipo di acido grasso non puó essere prodotto autonomamente dal nostro corpo, dobbiamo quindi assumerlo attraverso la nostra alimentazione.

A confronto di altre razze di manzo, la carne di Wagyu contiente fino al 30% in piú di grassi non saturi. In tutto il mondo la razza dei manzi Wagyu viene considerata una sola, tranne che in Giappone, la loro terra d’origine, qui vengono distinte tre razze diverse: Japanese Black, Japanese Brown und Japanese Shorthorn. Japanese Black é la razza piú diffusa e conosciuta al di fuori del Paese del Sol Levante, e ha il grado piú alto di marmorizzazione della carne. Ci sono allevamenti, a discendenza diretta in molte nazioni, dall’Italia (in Alto Adige c’è la carne Wagyu del marchio Oberweidacherhof) all’Australia stessa.

La Wagyu è praticamente un culto: c’è un famoso chef gaipponese, Hisato Hamada, che gira il mondo con il suo “The Virtual Steak Project by Wagyumafia” dove spiega tagli, con uso particolare di coltelli e cotture. Spesso la si associa alla carne Kobe, anch’essa di origine giapponese, ed è un marchio registrato per i manzi a mantello nero della razza di Tajima, allevati nella Prefettura di Hyogo, l’antica Provincia di Tajima. Anche questa si trova in Australia in selezionate macellerie. 

E poi c’è la Black Angus, il cui nome deriva dall’omonima contea scozzese di cui è originario. Le origini della carne Angus sono antichissime e il bovino Angus risulta essere uno dei più allevati al mondo. In Scozia il bovino Angus era utilizzato sia per ricavarne carne, sia per la produzione di latti e formaggi: un emigrato la porto in America, in Kansas e da lì la sua fortuna. Una delle razze più gustose di bovino è Aberdeen Angus. La carne di Angus (o carne Angus) è sicuramente una delle più pregiate in circolazione. Si divide in Red Angus e Black Angus e il più famoso è sicuramente il Black Angus americano.

Le bistecche vanno servite a cottura media e accompagnate da salsa Bernese ed erbe aromatiche o dalla superclassica barbecue.Gli chef consigliano, per renderle ancora più uniche, la marinatura a secco, detta dry-rub, che viene effettuata con diverse spezie, tra le quali spicca il pepe nero.

I “burgers” più buoni sono preparati con carne accuratamente selezionata e macinata fresca tutti i giorni. In Italia si usa spesso la carne di Fassona Piemontese, una eccellenza, è una carne molto magra e straordinariamente tenera. Oppure la carne di scottona (non è una razza nè un taglio) ossia di bovino femmina macellato giovane. Oltre al Classic, nella cucina made in Usa, ci sono da aggiungere gli ingredienti extra, a scelta come Cheese and Bacon. 

Ma pur essendo il cibo più popolare in America, piace moltissimo anche in Australia, l’hamburger ha origini in realtà tedesche. Il nome hamburger deriva infatti dalla parola “Hamburg” cioè Amburgo, la seconda città più grande della Germania. L’hamburger steak, poi solo hamburger, fa la sua comparsa nelle cronache culinarie americane a partire dalla prima metà dell’800 e a servirlo per la prima volta nel suo ristorante di New York nel 1873 è lo chef Charles Ranhofer. L’etimologia italiana del termine “svizzera”, parola con la quale si era soliti chiamare il medaglione di carne in Italia fino ad alcuni decenni fa, ha avuto origini simili. Svizzera, infatti, derivava da un piatto importato dal cantone tedesco dello Stato elvetico.

Esiste uno slang proprio degli amanti degli hamburger usato per definire le variazioni sul tema: “slopper” è l’hamburger ricoperto di salsa chili; “patty melt” quello con cipolle saltate e formaggio, avvolto in due fette di pane di segale, successivamente imburrato e fritto. Con “slider” ci si riferisce ad un hamburger piccolo e quadrato servito nel classico panino tondo ricoperto di semi di sesamo.

Per la cottura perfetta bisogna evitare di usare olio e lasciare la carne 10 minuti a temperatura ambiente prima di metterla sul fuoco per scongiurare che l’interno resti freddo. L’hamburger, poi, vuole una cottura serena, e se a guidare la scelta fra ben cotta o al sangue è solo il gusto, sul metodo non si transige: la carne non va assolutamente girata e rigirata in continuazione, bastano dai 2 ai 4 minuti per lato. Trucco da chef per azzeccare il momento della giravolta? Osservare il bordo: quando la metà dello spessore avrà cambiato colore è ora di cuocere l’altro lato.

Vietatissimo, infine, forare la carne con una forchetta, il risultato sarebbe quello di farle perdere preziosi succhi in cottura. Sempre valido il consiglio di non bruciare le superfici. Se, come visto in precedenza, non ci sono dubbi che il vero hamburger sia solo di carne bovina, negli ultimi tempi si sono diffuse innumerevoli declinazioni. Le più amate? Quella di pollo e quella di maiale, spesso insaporiti con altri ingredienti.