Ho sempre amato Rosetta. Era una vita che la sognavo. Io poi ho avuto l’immensa fortuna di entrare al Sistina quando ancora c’erano Pietro Garinei e Sandro Giovannini, di cantare insieme al maestro Armando Trovajoli. Quando è arrivata l’età giusta per interpretarla e Massimo Romeo Piparo me l’ha proposta, ho detto subito di sì. Anzi, ho esclamato ‘finalmente!’”. 

Seduta in camerino davanti allo specchio, Serena Autieri racconta come, per la seconda volta, tornerà a vestire i panni della bella popolana romana che ruba il cuore a Rugantino. La prima, quattro anni fa, accanto a Enrico Montesano. La seconda, ora con Michele La Ginestra (che Rugantino lo aveva interpretato già nel 2001 con Sabrina Ferilli e poi nel 2004) nell’edizione del sessantennale: era infatti il dicembre del 1962 quando la commedia musicale di Garinei e Giovannini (scritta con Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa e la collaborazione artistica di Gigi Magni) debuttò al teatro Sistina di Roma pescando a piene mani dalla tradizione romana, con le musiche di Trovajoli e con Nino Manfredi, Aldo Fabrizi e Lea Massari protagonisti. Con la supervisione di Piparo, lo spettacolo torna ora in scena, sempre al Sistina, e poi all’Augusteo di Napoli. 

Nel cast, un’altra veterana come Edy Angelillo nel ruolo di Eusebia, Massimo Wertmuller ‘debuttante’ nei panni di Mastro Titta e un cast di oltre 30 artisti. “Il palcoscenico, in questi due anni, mi è mancato tantissimo”, racconta la Autieri, mentre sul palco montano le scene originali firmate da Giulio Coltellacci, quelle con la tavola imbandita dell’Osteria di Mastro Titta, i panni stesi alle finestre e la pedana girevole. “Ripartire con uno spettacolo così impegnativo è una bella scommessa - prosegue -. Ma Rugantino è una pietra miliare, la gente ha sempre voglia di vederlo. E poi non è solo spettacolo: c’è tanta verità, messaggi importanti”. 

Ambientata nella Roma papalina del 1830, la storia racconta di Rugantino, giovane spaccone, arrogante e avverso a qualsivoglia lavoro, che vive di espedienti aiutato dalla fida Eusebia, che lui spaccia per sua sorella. I due ottengono vitto e alloggio raggirando il frescone di turno: dapprima un anziano marchese il quale, deceduto, non riserva loro alcun lascito; quindi Mastro Titta, il celebre boia dello Stato Pontificio, autentico personaggio storico. Mastro Titta è anche proprietario di una locanda che gestisce insieme al figlio, soprannominato Bojetto, dopo l’abbandono da parte della moglie, che non approvava il suo mestiere; egli si prende cura di Rugantino e di Eusebia, ma finisce per innamorarsi di questa, un amore presto ricambiato.

Entra in scena la bella Rosetta, moglie del violento e gelosissimo Gnecco Er Matriciano, croce e delizia di tutti i giovani romani compreso Rugantino, il quale scommette con alcuni amici di sedurla prima della Sera dei Lanternoni. Il giovane, nonostante umilianti peripezie, riesce nell’intento, ma finisce con l’innamorarsi della ragazza, così da non far menzione dell’impresa, per rispetto, ai suoi compagni; un contegno che presto viene meno a causa del suo carattere spaccone, ferendo così i sentimenti di lei.

Durante il Carnevale, Gnecco viene assassinato da un criminale mentre Rugantino è altrove, in compagnia di una nobile. Il protagonista si fa trovare casualmente accanto al cadavere e quindi, onde riscattarsi, si autoaccusa dell’omicidio, il cui movente sarebbe l’amore per Rosetta. Imprigionato e condannato a morte, con Rosetta che si dichiara perdutamente innamorata, sale sul patibolo sostenendo la propria colpevolezza e dimostrando così, nell’affrontare la morte, di essere un vero uomo. La vicenda si conclude con Mastro Titta che giustizia un Rugantino finalmente rispettato e ammirato da tutti.

“La grande scommessa per me è tornare a indossare quei panni dopo tutti questi anni, ‘da anziano’ - scherza La Ginestra -. Rugantino è il tipico romanesco di un tempo, uno che preferisce perdere un amico che una battuta. Oggi manca quel modo disincantato di affrontare le questioni importanti. Paradossalmente, anche se una coltellata scappava, era una Roma molto meno violenta e volgare”. 
“Ce ne vorrebbero di Rugantini oggi - sospira Wertmuller -. Non c’è più quella grazia, quell’accoglienza verso l’altro. Sono scomparsi i grandi intellettuali, come erano Ettore Scola, Magni, mia zia Lina, ma anche Enrico Berlinguer o Aldo Moro: e chi li ha sostituiti? Già questa mancanza spiega cosa è accaduto in questi anni”. 

“Rosetta invece è una donna al di sopra di tutto - prosegue la Autieri -. E’ lei che decide se e con chi vuole stare. Ogni sua parola è una sentenza. Poi, in realtà, cerca l’amore, la tenerezza. Sono napoletana, ma ormai vivo a Roma da 25 anni. Questa città è parte di me”, prosegue l’attrice, che ogni sabato è anche padrona di casa di “Dedicato” su Rai1. “Me li sono andati a cercare quei posti raccontati da Rugantino, per annusarli, viverli - dice -. Me li raccontava anche Montesano. Con lui ero sempre in quinta, anche quando non toccava a me, a osservare ogni dettaglio. Con Michele stiamo costruendo insieme un’altra coppia. Il mio momento preferito? Rugantino è scritto talmente bene, dalla prima all’ultima battuta: non ce n’è una che non funzioni. Amo pazzamente brani come ‘Roma non fa la stupida’, ma anche ‘na botta e via’, che racconta come Rosetta si diverta a giocare con Rugantino ma lo metta in guardia: ‘Così non mi tratti’. Le ho intonate tante volte al pianoforte con il maestro Trovajoli. Mi ricordo ancora ogni suo consiglio, ogni sua imbeccata. Mi ripeteva: ‘Rosetta, quando dice ‘è l’homo mio’, vuol dire che è proprio il suo… Lo devi sentire qui, nelle viscere”.