PARIGI - Essere musicista, per Salvatore Sclafani, non è semplicemente un mestiere, ma una tensione continua, un percorso fatto di studio, disciplina e ricerca. La musica non è solo espressione artistica, ma un cammino da meritarsi ogni giorno, un confronto incessante tra il desiderio di essere artista e la realtà del diventarlo. È un territorio di scoperta, di perfezionamento e, allo stesso tempo, un punto di partenza per interrogarsi sulla propria identità.

Questa visione lo ha accompagnato in ogni fase del suo percorso. Pianista, docente e ricercatore, la sua carriera lo ha portato lontano dall’Italia, tra Bruxelles e Parigi, senza però recidere il legame con il suo Paese d’origine. Il suo percorso musicale e accademico è la sintesi di un’identità in movimento, sempre alla ricerca di un equilibrio tra espressione artistica e crescita personale.

Il viaggio di Sclafani all’estero è iniziato quasi per caso, con un’esperienza Erasmus a Bruxelles nel 2013. Quell’anno accademico si è poi trasformato in un cambiamento di vita: dopo la fine degli studi a Palermo, ha deciso di stabilirsi in Belgio, proseguendo la sua formazione e trovando nuove opportunità professionali. Oggi insegna al Conservatorio di Bruxelles, porta avanti un dottorato di ricerca e scrive per riviste musicali italiane, “per contribuire alla vita culturale in Italia, anche se a distanza”.

La sua formazione è stata altrettanto inaspettata. La musica è entrata nella sua vita quasi per gioco, un esperimento suggerito dai genitori. Dopo un breve tentativo con il violino, è stato il pianoforte a catturarlo. “All’inizio l’ho visto come un compitino, una cosa in più che avrei dovuto fare e che non sapevo bene né come, né perché l’avrei dovuto fare – racconta il pianista palermitano - ma con il tempo è diventato una vocazione”.

Oggi, però, non dà nulla per scontato: essere musicista significa affrontare un percorso di studio e lavoro continuo, un impegno costante.

Il confronto con ambienti culturali diversi ha inevitabilmente impattato sul suo modo di intendere la musica e la vita. A Bruxelles, immerso in un contesto internazionale, ha avuto modo di misurarsi con artisti e professionisti di alto livello. Questa esposizione lo ha reso più consapevole della propria crescita, insegnandogli ad apprezzare le differenze e a trarne ispirazione.

“Il fatto di vivere in un ambiente così eterogeneo mi stimola, da un lato, ad essere più sensibile alle diversità, e quindi a nutrirmi di quelle diversità per diventare sempre più un cittadino del mondo. E poi, dall’altro, queste stesse esperienze mi spingono, in qualche modo, a interrogarmi”, commenta Sclafani.

Anche il multilinguismo quotidiano è diventato una sfida stimolante, un esercizio costante che affina la lucidità mentale e la capacità di adattamento.

Salvatore Sclafani (Foto: Tom De Beuckelaer)

Ma cosa significa “casa” per un musicista che ha scelto di vivere all’estero? Per Salvatore Sclafani, la risposta non è semplice. La musica è sicuramente una dimora, ma anche un territorio di ispirazione, un viaggio che non si arresta mai. Un’arte che non si conquista una volta per tutte: bisogna meritarsela, giorno dopo giorno, attraverso il lavoro, la ricerca, l’insegnamento.

E poi c’è quella dimensione politica della musica, intesa come un vero e proprio esercizio di cittadinanza. Per Sclafani, infatti, la musica è un mezzo per stimolare la riflessione e la consapevolezza sociale: “Quando penso al ruolo politico, penso in senso etimologico, all’idea di partecipazione attiva alla vita collettiva. Per me la musica può aiutare a stimolare una riflessione su come si possa agire in maniera consapevole rispetto a determinate questioni sociali e urgenti”.

Abbiamo già detto che, nel suo percorso artistico, l’artista palermitano concepisce la musica come un viaggio senza una meta definitiva, una continua ricerca che lo mantiene in tensione. Questo stesso viaggio vuole condividerlo con il pubblico, trasformando ogni esibizione in un momento di riflessione su temi cruciali, come quello delle migrazioni. Per lui, la migrazione è un diritto inalienabile e la società deve essere in grado di accogliere chiunque si trovi a dover attraversare confini e culture.

È da qui che nasce il format del concerto-racconto, un’esperienza riproposta in più occasioni che fonde esecuzione musicale e narrazione, con l’obiettivo di rendere più accessibile e coinvolgente l’esperienza dell’ascolto. Il format verrà riproposto il prossimo 1 aprile all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, dove Salvatore Sclafani si esibirà in uno spettacolo che prende il nome di Musiche migranti e moti creativi.

In questo caso, come si potrà facilmente intuire, il tema centrale è proprio quello della migrazione, non solo come spostamento geografico, ma come scambio culturale e trasformazione dell’identità.

Sclafani spiega che la scelta del repertorio si basa su “due assi fondamentali”. Da un lato, vuole rendere esplicito che “anche nella composizione più classica, più aulica in un certo senso, quella che si ascolta spesso nelle sale da concerto, c'è una questione così imminente come quella della migrazione”. Dall’altro, ha selezionato brani che affrontano direttamente il tema migratorio, studiandoli appositamente. Un esempio significativo è il lavoro di Vardapet Komitas, compositore armeno che, a seguito del genocidio del suo popolo, fu costretto a fuggire dalla sua terra, una vicenda condivisa da molti altri armeni dell’epoca.

Il format del concerto-racconto nasce, dunque, dall’esigenza di creare un ponte tra la musica classica e la contemporaneità, offrendo al pubblico non solo un’esperienza estetica, ma anche una riflessione più profonda e contestualizzata. “Mi piace avere la possibilità di parlare per far entrare la percezione di queste composizioni più classiche in un'acquisizione un po’ più contemporanea, più politica”, afferma Sclafani. Il suo obiettivo è quello di far emergere le connessioni tra musica e società, sottolineando l’importanza dell’arte come strumento di consapevolezza civile: “Mi voglio occupare di questioni legate al mio essere cittadino”.

Un altro elemento chiave di questo format è la creazione di empatia tra l’esecutore e il pubblico. L’alternanza tra musica e narrazione permette infatti agli spettatori di comprendere meglio il significato delle composizioni e di sentirsi più coinvolti. “Mi sembra che ci sia un modo più godibile per stare nella sala da concerto, sia per me che per il pubblico”, conclude il pianista.

Il concerto-racconto di Parigi vedrà anche la partecipazione di Giorgio Battistelli, compositore italiano contemporaneo, attraverso un video di presentazione di circa dieci minuti, in cui risponde a una serie di domande poste da Salvatore Sclafani. Il focus della sua testimonianza riguarda il suo rapporto con Parigi e la Francia, dove il compositore ha studiato per un periodo, e il tema della migrazione nella musica e nell’arte. Inoltre, Battistelli introdurrà brevemente il suo libro Per moto contrario, al quale Sclafani ha collaborato attivamente.

Il loro rapporto professionale nasce grazie all’attività giornalistica di Sclafani. “A un certo punto ho cominciato a scrivere per delle riviste, ed è capitato che io lo abbia intervistato alcune volte”, racconta. Le interviste, iniziate per motivi editoriali, hanno portato a una conoscenza più approfondita tra i due, fino a quando Battistelli, soddisfatto del loro dialogo, ha deciso di coinvolgerlo nella stesura del suo libro.

L’evento sarà accessibile gratuitamente. Per maggiori informazioni sulle modalità di partecipazione, date un’occhiata al sito dell’Istituto.