ROMA - Giorgia Meloni insiste nel dire che tra lei e il capo della Lega Matteo Salvini non esiste nessun “derby” per guidare i sovranisti italiani ed eventualmente europei. Fatto sta che proprio lì dove il leader del Carroccio ha fallito prima delle scorse Europee, quando ha tentato di creare un asse internazionale del sovranismo, la segretaria di Fratelli d’Italia sta invece riuscendo, supportata da un appoggio internazionale dei conservatori mondiali sempre più consistente. Il motivo di tale sviluppo per Giorgia Meloni è semplice e chiaro: “La destra siamo noi”, dice, mentre “la Lega ha fatto un percorso diverso”.
Un percorso che il leader Salvini ha impostato imprimendo al Carroccio un’espansione nazionale, provando a occupare quegli spazi e quei temi che erano propri della destra appunto e che oggi Giorgia Meloni sta velocemente tentando di riconquistare. Che tra i due non sia un derby, come dice Meloni, sarà anche vero; fatto sta che seppur invitato alla conferenza della destra sovranista e conservatrice a Roma della scorsa settimana, Salvini alla fine non si è presentato, adducendo come scusa impegni più urgenti in Sicilia, dove la Lega sta lavorando per entrare nella Giunta del governatore Nello Musumeci.
Una manovra che prosegue nell’intento di Salvini di aprire al Sud e che è stata recentemente contestata dal fondatore Umberto Bossi, il quale in un’intervista su Repubblica ha approfittato della sconfitta in Emilia-Romagna per attaccare la politica del segretario: “Il popolo emiliano vuole raggiungere il traguardo dell’autonomia, sul modello di Zaia e Fontana” e quell’obiettivo “era la prima cosa da offrirgli”, altro che prima gli italiani. “Per quello basta e avanza la destra nazionalista”. Quindi una cosa è chiara, per Bossi, dopo il voto emiliano del 26 gennaio: “Se trasferisci la Lega al Sud, poi diventa più difficile chiedere il voto alla Lombardia, al Veneto e all’Emilia”.
Parole che alzano la tensione in una Lega dove le divisioni interne covano sotto la cenere e mettono in forte difficoltà Salvini, il quale non manca di rispondere a Bossi in tono polemico: “Nella Lega non ci sono più padri nobili - dice - i nostri padri nobili sono i 9 milioni di italiani che ci danno il voto”. Come se non bastasse poi ad impensierire non poco il capo del Carroccio sono anche i tribunali che gli stanno sul collo per la sua gestione della migrazione quando era ministro degli Interni. Oltre al caso Gregoretti infatti, sul quale il Senato voterà l’autorizzazione a procedere chiesta dai giudici per Salvini dopodomani, a piombare sul leader della Lega è anche l’accusa di “sequestro di persona” per il blocco della nave Open Arms lo scorso agosto.
Anche su questa vicenda per la quale si esprimerà la Giunta delle immunità del Senato entro il 3 marzo, Salvini sembra in forte imbarazzo, dopo che la sua linea difensiva, che tirava in mezzo il premier Conte è stata smontata dalla pubblicazione dei messaggi tra lui e il presidente del Consiglio che dimostrano le pressioni di Conte per far sbarcare donne, minori e malati costretti a rimanere in mare per giorni.