Il “caso” La Sad, con la band punk rock scelta tra i big di Sanremo 2024 accusata di aver prodotto brani violenti e sessisti, riporta alla memoria un precedente simile, che il festival dovette affrontare nel primo anno della direzione di Amadeus, nel 2020: quello di Junior Cally. Anche allora dal mondo politico e dell’associazionismo si levarono proteste e si chiese l’esclusione dal festival del rapper che, prima di presentarsi al festival con il brano “No grazie”, aveva pubblicato diversi brani con contenuti sessisti, volgari e violenti, come “Streghe”, “Si chiama Gioia” e “Magicabula”.
Ora, con le stesse accuse, c’è chi invoca l’esclusione dalla gara dei La Sad, per brani pubblicati in passato, come “Mayday” (“E il coglione che ti baci nella storia/spero te lo metta dentro senza mai provare amore”), “Psycho Girl” (“Mi fai stare bene mentre mi fai male/Come la cocaina”) e “Sto nella sad” (“Ma tu sei peggio della coca, sei una tro..”).
Nel 2020, le grandi polemiche si chiusero come erano nate anche perché allora, come adesso, il direttore artistico del Festival e la commissione musicale erano chiamati a valutare il brano presentato per l’edizione in questione e ad assicurarsi che esistessero tutti i requisiti richiesti nel regolamento e non il repertorio degli artisti. Ma qualcuno arrivò anche a invocare un cambio al regolamento del Festival che implicasse un andare a ritroso nelle carriere dei cantanti in gara, per procedere a una “valutazione etica” dei repertori degli artisti in gara e non più del solo brano presentato per l’edizione corrente.
Naturalmente una simile norma presterebbe il fianco ad altre polemiche. Così come difficilmente si potrebbe procedere all’esclusione di un artista sulla base di brani del suo passato, dopo che lo stesso artista è stato scelto sulla base di un brano nuovo e inedito che si presume non conterrà nulla di preoccupante. Tanto che Amadeus, in un video pubblicato sui social, ha chiesto di evitare “pregiudizi” sui cantanti in gara a Sanremo, invitando ad ascoltare prima i brani “e poi a esprimere un parere o un’opinione”.
Ma da che Sanremo è Sanremo, un Festival senza polemiche non lo si è ancora visto. L’anno scorso, dallo show di Fedez con la foto del ministro Bignami strappata in diretta all’esibizione di Rosa Chemical che mimò una scena di sesso sul palco con lo stesso Fedez, scandali e polemiche abbondarono. L’anno prima, nel 2022, non andò meglio: i no vax contro Fiorello e la gag sul vaccino e il grafene, i cattolici contro Achille Lauro, la destra contro l’arrivo di Saviano, i proibizionisti contro la collanina “alla cannabis” di Ornella Muti. Nel 2020, oltre al caso Junior Cally, ci fu polemica su Rula Jebreal bacchettata dai sovranisti, sulle donne del Pd che si scagliarono contro la frase di Amadeus sul “passo indietro” della compagna di Valentino Rossi.
In ogni anno della sua storia ultrasettantennale, il Festival ha conosciuto veleni di ogni tipo. E’ accaduto fin dalla seconda edizione, nel 1952, quando la Democrazia cristiana si sentì offesa dal testo di “Papaveri e papere” di Nilla Pizzi che, secondo un’interpretazione, era una presa in giro proprio dei politici di maggioranza dell’epoca. Nel 1957 fu il missino Bruno Spampanato a presentare un’interrogazione al ministro delle Poste e Telecomunicazioni, la prima di una lunghissima serie di segnalazioni parlamentari “sanremesi”, per chiedere conto del comportamento di Claudio Villa a Sanremo che, dopo aver steccato, si lasciò andare a una dichiarazione in stile “reuccio” piena di orgoglio e superbia che non andò giù all’onorevole.
Interventi di politici “a gamba tesa” sul Festival si sono ripetuti negli anni: ce ne fu uno, del democristiano Giovanni D’Antonio, anche nell’anno della tragica morte di Luigi Tenco, con annessa richiesta di abolire Sanremo non tanto perché responsabile indirettamente della morte del cantautore quanto per aver ospitato un artista presentato nell’esposto come “drogato”. Nel 1975 il grande passo, con un politico che esordisce al Festival: sempre un democristiano, il deputato Francesco Turnaturi, scrisse un brano “Ci son cose più in alto di te”, interpretato da Nico dei Gabbiani: una canzone che, malgrado sia entrata in finale, non è finita negli annali della storia della musica leggera.
Le canzoni, poi, sono sempre state oggetto di attenzioni dei politici con attacchi ai testi, che estrapolati dal contesto risultano facilmente opinabili. Vasco Rossi ma anche, anni prima, gli strali su Adriano Celentano per il testo di “Chi non lavora non fa l’amore” definito inaccettabile perché qualunquista e antisindacale.
Nel 1995 sembrò che i politici fossero riusciti finalmente a conquistare il palco quando alcuni deputati, tra cui il verde Pecoraro Scanio e il liberale Enrico Ferri, annunciarono di voler cantare un brano, da ospiti, il cui ricavato sarebbe stato devoluto in beneficenza: peccato che la stessa politica, contraria all’iniziativa, bloccò l’esibizione e costrinse Pippo Baudo a far esibire l’allegro coro solo al Dopofestival.
Negli anni recenti il livello dell’intervento (almeno a parole) del parlamento nei confronti del Festival si è alzato ancora di più. Nel 2020, sulla scia delle polemiche sul sessismo, si è incendiò sui social l’attenzione sull’hashtag #boicottaSanremo, proprio come due anni fa dopo lo sberleffo ai no vax portato sul palco da Fiorello. Ma anche in questo caso niente di nuovo: 20 anni fa, quando gli hashtag ancora non c’erano, contro la partecipazione di Roberto Benigni fu lanciato il comitato BoBe (Boicotta Benigni), creato da Giuliano Ferrara che minacciò di tirare le uova al premio Oscar durante la sua esibizione all’Ariston. Al festival 2024 mancano poco meno di due mesi ma, ci si può giurare, anche diverse altre polemiche.