WASHINGTON - Il caso della chat del governo in cui era stato inserito per sbaglio un giornalista si aggrava per l’amministrazione Trump: dopo che vari esponenti – dal capo del Pentagono Pete Hegseth, alla direttrice dell’intelligence Tulsi Gabbard e il direttore della Cia John Ratcliffe – hanno spiegato che nella chat non erano presenti i piani di guerra dell’attacco agli houthi nello Yemen, il magazine The Atlantic, il cui direttore era stato inserito nel gruppo sulla piattaforma Signal, ha pubblicato parte dei piani, smentendo i rappresentanti della Casa Bianca. 

Gabbard e Ratcliffe avevano negato la presenza di piani nel corso della loro audizione davanti alla commissione Intelligence del Senato. “Non c’era materiale riservato che abbiamo condiviso sul gruppo Signal” è quanto Gabbard aveva dichiarato ai senatori. “Le mie comunicazioni, per essere chiari, nel gruppo di messaggi Signal erano assolutamente permesse e legali e non c’erano informazioni riservate”, aveva aggiunto Ratcliffe. Anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha difeso il suo staff, ha escluso la presenza di materiale riservato. 

Queste dichiarazioni hanno finito per mettere davanti a un bivio il direttore di The Atlantic, Jeffrey Goldberg, che aveva lasciato correttamente il gruppo, ma aveva pubblicato lunedì alcuni stralci delle conversazioni. Che fare? Pubblicare i piani sensibili di guerra per smentire il governo, o no? Alla fine, i giornalisti hanno deciso di fornire alcune prove, senza entrare nei dettagli di operazioni militari, ma sufficienti a smentire la linea ufficiale della Casa Bianca. 

Hanno usato una formula per garantire la propria posizione: hanno chiesto alle varie agenzie di intelligence e del Pentagono se “visto che il materiale è considerato non riservato”, poteva essere pubblicato. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha risposto dicendo che “come abbiamo ripetutamente detto, non c’erano informazioni riservate ma, come il direttore della Cia e il consigliere alla sicurezza nazionale hanno dichiarato, non intendiamo incoraggiare la pubblicazione della conversazione. Erano solo comunicazioni interne”. 

La realtà è che il segretario alla Difesa Hegseth aveva pubblicato il piano di guerra in una chat di cui non sapeva chi facesse parte e tra i cui iscritti c’era un utente sconosciuto, il giornalista Goldberg. E questo era avvenuto trentuno minuti prima che gli aerei Usa lanciassero l’attacco e due ore e un minuto prima che il primo bersaglio houthi venisse ucciso. 

Il testo, che fa parte dello scambio di informazioni nella chat avvenuta il 15 marzo in vista di un attacco agli houthi nello Yemen, comincia così: “Tempo adesso (ore 11.44): condizioni meteo favorevoli. Appena confermato da Centcom (il Comando centrale, l’unità militare per il Medio Oriente) siamo pronti per il lancio della missione”. Seguono altre indicazioni sul lancio di droni e l’augurio finale: “Buon viaggio ai nostri guerrieri”. Subito dopo, il vicepresidente J. D. Vance aveva scritto nel gruppo: “Dirò una preghiera per la vittoria”.