Il terremoto che ha scosso la casa dei liberali d’Australia ha un epicentro decisamente più profondo e distante rispetto alla decisione di Peter Dutton di non appoggiare il referendum proposto dal primo ministro per la Voce.

Una scelta, quella del leader liberale, che a molti è apparsa una vera e propria scommessa, non soltanto rispetto all’immediato futuro legato al voto per il riconoscimento costituzionale della Voce aborigena in Parlamento, ma anche in un’ottica più a lungo termine nel percorso del partito verso la prossima tornata elettorale, ancora molto lontana ma rispetto alla quale Dutton non può esimersi dal fare alcune riflessioni interne.

Come inevitabile, la presa di posizione di Dutton, ha scatenato una sequenza importante di reazioni, anche tra i ranghi del partito, con un esodo di figure molto rappresentative e commenti a caldo, tra gli altri, anche del primo ministro Albanese (articoli alle pagine 11 e 12).
Reazioni che, accompagnando anche la disfatta elettorale della scorsa settimana alle suppletive del seggio di Aston, sono state contrassegnate, da un lato, da catastrofismo e, dall’altro, da positivi commenti per un ritorno alle origini e ai ‘valori’ tipici di un partito conservatore.
è assolutamente fuori discussione, lo dicono le cronache politiche e parlamentari, che dalle elezioni dello scorso anno ad oggi si faccia davvero molta fatica a trovare un qualche segnale positivo nelle sorti del partito liberale, e sembra che questa corsa al ribasso, anche secondo quanto riportano gli ultimi sondaggi Newspoll, non sia ancora destinata a trovare una fine.
Il leader dell’opposizione, che sulle colonne dell’ultima edizione del Weekend Australian, è tornato a chiedere al primo ministro gli ormai noti ‘maggiori dettagli’: “i pro e i contro dovrebbero essere esposti in maniera trasparente, [...] e le persone correttamente informate in maniera tale da votare ‘sì’ o ‘no’”, ha anche ribadito che “è offensivo che il primo ministro e gli altri ministri affermino che gli australiani che non aderiscono al modello della Voce voluto da Canberra siano duri di cuore o razzisti. Tanto offensivo quanto assurdo”.
Il tema, lo si comprende da queste ulteriori esternazioni, è estremamente polarizzato, e non solo per la natura stessa della tornata referendaria, ma anche e soprattutto per la materia, sulla quale forse un approccio bipartisan sarebbe stato ampiamente auspicabile.
Ebbene, Dutton rispetto a questo argomento si ritiene evidentemente espressione del sentimento di parte del Paese ma la realtà fotografata dai sondaggi di opinione dice ben altra cosa: la campagna per il Sì sembra infatti essere solidamente avviata sulla direzione di ottenere la modifica alla Costituzione voluta dal Primo ministro. Ricordiamo che è necessario che si raggiunga la maggioranza sia su base nazionale che su base di ogni singolo Stato. Il sondaggio Newspoll dice che il Sì alla Voce è in testa del 54% contro il 38% di No, con cinque dei sei Stati che sostengono proprio il Sì. Il Queensland è l’unico con il Sì sotto la maggioranza, ma con il 49% il Sì è ancora in vantaggio rispetto al 43% di No. 

Quindi se si andasse al voto oggi, sarebbe necessario conquistare un po’ di consenso in Queensland e il referendum passerebbe.
Ma forse, si sottolinea, è soprattutto la demografia del voto che dovrebbe preoccupare Dutton e i vertici dei liberali: due terzi dei giovani interpellati nel sondaggio sostengono la Voce, così come fanno la maggior parte delle persone di mezza età, persone con background multiculturale, ad alto reddito e con grado di istruzione universitario, una fotografia molto chiara.

Se, come si fa osservare, la mossa di Dutton è coerente con la base di valori del Partito liberale, con l’obiettivo di rimettere insieme i cocci di una formazione gravemente provata in questo suo primo anno all’opposizione, questa comunque resta basata, almeno sul merito del referendum, su una controproposta decisamente opaca e altrettanto vaga, se non ancora di più, rispetto a quella del governo. Certo è che la posta in palio resta molto alta per entrambi i leader, è vero, si possono leggere i sondaggi e interpretare il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno a seconda dell’appartenenza all’uno o all’altro schieramento, ma la partita si giocherà tutta alle urne e in tal caso il risultato dirà se la strategia dei laburisti sarà stata quella giusta, con una manovra politica che avrà, di fatto, annientato l’opposizione o, in caso di risultato negativo, sarà stata azzardata perché si è deciso di non cercare un consenso largo coinvolgendo proprio l’opposizione stessa.

La domanda di fondo, quelle famose riflessioni che la guida dei liberali immaginiamo stia facendo, è sia intimamente connessa con la stretta attualità e sia di più ampia prospettiva: chi rappresenta, in questo momento, il partito liberale? Con quale fascia della popolazione australiana i liberali sono connessi? Quali i temi su cui far leva per riconquistare terreno? 

Le suppletive di Aston sono state una disfatta su più livelli, è stata definita “la tempesta perfetta”, con errori su tutti i piani, una tempesta che ha fatto perdere ai liberali una roccaforte che dominavano sin dal 1990, dove i laburisti erano stati in carica soltanto per due mandati da quando, nel 1984, il seggio è stato creato. La lezione della sconfitta delle elezioni federali, con il rapporto firmato da Loughnane e Hume che, almeno a giudicare dalla confusione di queste ultime settimane, non sembra sia stato ancora tenuto in grande considerazione dai vertici del partito, sono tutti argomenti destinati a restare in primo piano e ad esserlo ancor di più all’esito della tornata referendaria. 

Tra l’altro, a proposito di elezioni, Dutton potrebbe trovarsi a fronteggiare un’altra suppletiva con l’ex primo ministro Scott Morrison che dovrebbe dimettersi dal seggio di Cook, secondo quanto hanno confermato alcuni membri del partito in un’esclusiva de The Sunday Age, tra la presentazione del budget di maggio e la fine di quest’anno. Un altro seggio roccaforte, un’altra sfida per Dutton e per i liberali, e che le suppletive possano avvenire prima o dopo il referendum, una cosa anche qui sembra certa, sarà l’ennesimo momento che definirà il destino di breve periodo per il leader liberale e quello di più lungo periodo per le sorti della compagine liberale.