ROMA - Più si approssima l’autunno, più i dati sulle condizioni sociali italiane si fanno preoccupanti e uno dopo l’altro tutti gli indicatori vanno a comporre un mosaico a tinte fosche che il prossimo governo dovrà capire come gestire.

Dopo i dati sul potere d’acquisto degli stipendi, tornato ai livelli del 1995, quelli sull’aumento delle retribuzioni, che in trent’anni sono addirittura calate, a preoccupare maggiormente negli ultimi tempi sono le notizie sull’aumento esponenziale della povertà e questo nonostante la recente introduzione di misure, come il Reddito di Cittadinanza, che stanno tenendo a galla milioni di famiglie. Nei giorni scorsi anche l’Eurostat ha confermato infatti che, secondo le stime preliminari riferite al 2021, una persona su quattro in Italia sarebbe a rischio povertà, ossia il 25,2% della popolazione. Dato in lieve incremento (+ 0,3%) rispetto alla precedente rilevazione e al di sopra del 21,7% medio dell’Unione europea.

Un dato quest’ultimo che, anche se inferiore a quello italiano, è di enormi proporzioni, soprattutto se si guarda al dato assoluto, perché significa che nell’Ue le persone a rischio povertà o esclusione sociale sono ormai 95,4 milioni. Tra le nazioni quelle messe peggio dell’Italia sono Spagna e Grecia, intorno al 27% e il Paese con il dato peggiore è la Romania (34,4%) seguita dalla Bulgaria. La Francia si ferma al 19%, la Germania al 21%, mentre in Finlandia, Slovenia e Repubblica Ceca si registra il dato migliore, con un rischio povertà che riguarda solo il 10,7% della popolazione nazionale.

Questo disagio vissuto dal 21% della popolazione europea e da un italiano su quattro è stato sicuramente aggravato dalla pandemia e si teme che i dati del prossimo anno, a causa della guerra e dell’inflazione galoppante saranno ancora peggiori. Ma le radici di questa situazione molto degradata si annidano soprattutto in un mondo del lavoro sempre più malato e in Italia a preoccupare in questi giorni su questo fronte sono stati i dati sui licenziamenti nei primi sei mesi del 2022, diramati dall’Inps. Nel primo semestre 2022 i contratti cessati sono stati 3,2 milioni, in aumento del 36% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma quelli economici sono saliti del 121%, a 266.640 – di cui 185mila da rapporti a tempo indeterminato.