TEL AVIV - La tregua tra Israele e Libano è appesa a un filo molto sottile, che è sembrato sul punto di spezzarsi diverse volte fin dal principio. La posizione di Israele rispetto al cessate il fuoco è stata chiarita, per l’ennesima volta, dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che, durante una seduta speciale con il governo nella città del Nord di Nahariya, al confine con il Libano, ha affermato che “il cessate il fuoco, non è la fine della guerra”.

Forse a giustificazione delle incursioni a bassa intensità che si continuano a susseguire e che avrebbero provocato almeno nove morti in due villaggi della zona Sud del Libano, secondo quanto riferito dal ministero della Sanità del Paese.

Ma Tel Aviv ha fatto sapere che sarebbe stato Hezbollah a violare il cessate il fuoco lanciando dei razzi e ha invitato “le parti interessate in Libano ad adempiere alle loro responsabilità impedendo l’attività ostile di Hezbollah dall’interno del territorio libanese. Israele rimane obbligato al rispetto delle condizioni dell’accordo di cessate il fuoco in Libano”.

Al governo di Tel Aviv è arrivato anche il richiamo di Washington che, attraverso l’intervento dell’inviato della Casa Bianca in Medio Oriente, Amos Hochstein, ha elencato 52 violazioni israeliane del cessate il fuoco. Un funzionario israeliano ha risposto ricordando a Francia e Stati Uniti che “secondo il side document firmato da Stati Uniti e Israele parallelamente all’intesa sulla tregua, l’Idf ha il diritto di agire se c’è una minaccia immediata. E questo vale in tutto il Libano”.  

Anche il ministro israeliano della Difesa, Israel Katz, è intervenuto sull’argomento, avvertendo che se l’Esercito libanese non farà rispettare la propria parte dell’accordo di cessate il fuoco, si ritornerà in guerra e questa volta Israele si spingerà più a fondo in Libano.

Ma, se sul fronte libanese la situazione non migliora, sul fronte di Gaza è persino più preoccupante. Il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, ha reso noto che la Striscia attualmente conta “il maggior numero di bambini amputati per abitante al mondo”.

Anche il neoeletto presidente americano Donald Trump è intervenuto sull’argomento minacciando Hamas di “conseguenze devastanti in Medio Oriente e per coloro che hanno perpetrato queste atrocità contro l’umanità” nel caso in cui gli ostaggi non vengano liberati prima del suo insediamento alla Casa Bianca, il 20 gennaio.

Hamas, da parte sua, pensa alla propria sopravvivenza siglando un accordo con Al-Fatah, l’organizzazione politica e paramilitare che si batte per la liberazione della Palestina per la formazione di un comitato congiunto al fine di amministrare la striscia di Gaza una volta terminato il conflitto. 

Il governo di Netanyahu, nel frattempo, è stato messo sotto accusa anche internamente, con l’ex ministro della Difesa ed ex capo di Stato maggiore Moshe Yaalon, che ha affermato in un’intervista televisiva che il Paese starebbe portando avanti una “pulizia etnica” nel Nord della striscia di Gaza. Yaalon ha poi ribadito che la sua “valutazione di pulizia etnica è accurata, dato che i ministri del governo parlano di come la Striscia sarà ripulita dagli arabi”.

Un coro di voci si è levato contro Yaalon, accusato dal partito nazionalista di destra Likud di aver fatto “un regalo alla Corte penale internazionale dell’Aja e agli anti-israeliani” con le sue dichiarazioni. Il leader del partito di centro, Unità nazionale, Benny Gantz, ha respinto le accuse di pulizia etnica, ribattendo che “l’Idf sta combattendo contro i terroristi a Gaza e continuerà a farlo”.