BUENOS AIRES – “Negli ultimi mesi sono state proposte più modifiche alla legge sulla cittadinanza italiana che negli ultimi quarant’anni” È perentoria nelle sue affermazioni Katherine Turfo, avvocato magister in Diritto costituzionale e diritti umani, e fondatrice dello studio giuridico Gruppo Raddo, specializzato in processi per il riconoscimento della cittadinanza italiana.
In dialogo con Il Globo, insieme con il suo collaboratore Claudio Campolattano – avvocato italiano esperto in diritto dell’immigrazione, che segue i processi nei tribunali italiani – fanno chiarezza sulle novità che minacciano il riconoscimento della cittadinanza italiana per i discendenti nati all’estero.
“Siamo in un momento storico in cui si sta ostacolando il diritto alla cittadinanza in tutti i modi possibili” sostiene Turfo, facendo riferimento a tre questioni: la circolare n. 43347 del ministero degli Interni, la proposta di legge del Ministro Tajani e la Legge di Bilancio appena presentata al Parlamento.
1.Rifiuto delle pratiche di cittadinanza nei Consolati per nuova circolare.
Il 3 ottobre di quest’anno è stata emanata la circolare n. 43347 del Ministero dell’Interno, che delinea il modo in cui gli organismi pubblici italiani, quindi i Consolati e i Comuni, devono interpretare la legge in materia di cittadinanza iure sanguinis.
La circolare 43347 prevede che, se un italiano ha rinunciato alla cittadinanza al momento di naturalizzarsi argentino (come previsto prima del 1974) e i suoi figli all’epoca erano minorenni, anche questi ultimi hanno perso il diritto di trasmissione.
“I consolati della Città di Buenos Aires e di La Plata hanno iniziato a respingere richieste di riconoscimento della cittadinanza presentate un anno e mezzo fa” racconta Turfo, che è stata contattata da alcune persone danneggiate dal nuovo decreto.
“La circolare è un suggerimento del Ministero degli Esteri agli organismi pubblici su come interpretare la legge, ma non modifica la legge in sé – spiega Campolattano –. Nei tribunali, i giudici fanno la propria interpretazione, quindi il provvedimento non colpisce le procedure di cittadinanza per via giudiziale, ma è un chiaro segno di una tendenza alla limitazione del diritto al riconoscimento della cittadinanza”.
2. Limite alla ricostruzione genealogica per lo ius sanguinis.
“A ottobre – prosegue Turfo – il Ministro Tajani ha presentato un progetto di legge che limita il riconoscimento della cittadinanza ius sanguinis a tre generazioni.”
La proposta di legge del partito Forza Italia, che fa parte della coalizione di centro-destra al governo, frena l'applicabilità dello ius sanguinis fino al bisnonno.
Ma gli avvocati avvertono che la questione più urgente riguarda due articoli inclusi nella nuova la Legge di Bilancio per il 2025, presentata lo scorso 23 ottobre dal governo in Parlamento, che negli articoli 105 e 106 modifica aspetti legati alle pratiche di cittadinanza.
3. Ostacoli economici al riconoscimento della cittadinanza per via giudiziaria.
La Legge di Bilancio viene approvata ogni anno dal Parlamento italiano per definire le politiche economiche e finanziarie del Paese. Chiamata anche Finanziaria o legge omnibus (perché all’interno confluiscono tutte le materie), è un prospetto di quelle che saranno le entrate e le spese dello Stato nell’anno successivo.
Le commissioni parlamentari stanno attualmente esaminando gli emendamenti proposti dai partiti politici, cercando di introdurre modifiche con le rispettive commissioni.
L'articolo 106 prevede la modifica al valore del contributo unificato, una tassa che viene pagata quando un cittadino vuole dare il via a una causa; quindi, si paga ogni volta che si ricorre in giudizio.
Nel caso della cittadinanza, si ricorre in giudizio contro lo Stato italiano per vedersi riconosciuto lo ius sanguinis per via materna se la donna italiana residente all’estero ha avuto il figlio prima del 1948.
Attualmente, per i procedimenti di cittadinanza, il contributo è fissato a 545 euro, indipendentemente dal numero di ricorrenti. Tuttavia, con la nuova proposta, questo importo verrebbe aumentato a 600 euro per ciascun ricorrente. La modifica riguarderebbe esclusivamente i procedimenti di cittadinanza, mentre per tutte le altre tipologie di ricorso il contributo rimarrebbe invariato.
“Di solito chi inizia un procedimento lo fa con i figli e la media più o meno oscilla sulle quattro-cinque persone, ma ci sono anche casi di interi nuclei familiari di dieci componenti, che quindi dovrebbero pagare 6000 euro di tasse solo per iniziare il processo” afferma Campolattano.
In aggiunta, l'articolo 105 prevede una nuova causa di estinzione del processo, stabilendo che questo venga chiuso se il contributo non viene pagato entro i 30 giorni dall’inizio della pratica.
Secondo gli avvocati, se la legge passasse senza modifiche, verrebbe comunque dichiarata incostituzionale, e a quel punto scomparirebbe automaticamente dall’ordinamento, ma ci vorrebbero circa otto mesi per la pronuncia di incostituzionalità.
Intanto chi sta facendo le pratiche per la cittadinanza dovrà pagare e aspettare l’eventuale rimborso. “E sono poche le persone che se lo possono permettere” sottolinea Turfo.
“Dove è il diritto di accesso alla giustizia? – si chiede l’avvocato –. Le famiglie che decidono di avviare il processo insieme sono appunto quelle per cui è più impegnativo fare fronte alle spese. Se la legge viene approvata senza modifiche, queste persone dovranno rinunciare al riconoscimento della cittadinanza italiana”
Le riforme introdotte sollevano interrogativi fondamentali sulla natura stessa del diritto alla cittadinanza e sulla sua accessibilità per tutti, senza discriminazioni economiche.
“In questo senso, il senatore Borghese (rappresentante degli italiani in America Meridionale) è stato molto diretto con il suo messaggio definendo l'articolo 106 come anticostituzionale” dice Campolattano. Secondo l'articolo 3 della Costituzione italiana, che stabilisce l’uguaglianza di ogni persona davanti alla legge, l’accesso alla cittadinanza non dovrebbe essere condizionato da un onere economico.
“L'articolo 105 coinvolge tutti, da chi sta impugnando una multa per divieto di sosta a chi sta facendo una causa di fallimento per milioni di euro, perché significa imporre una barriera economica al diritto di difesa in tutti i casi – spiega Campolattano –. L’articolo 106 invece tente a passare inosservato e colpisce l’attenzione soltanto chi ha cognizione della materia, chi sa che dietro la cittadinanza c’è un business in crescita che crea un affollamento dei tribunali.”
Gli avvocati spiegano che queste restrizioni stanno nascendo perché i tribunali italiani sono intasati dalle pratiche di cittadinanza provenienti dal Brasile, tanto che il 23 ottobre è stato pubblicato un protocollo dal Tribunale di Venezia, che consiglia agli avvocati di non includere più di dieci persone per ogni procedimento di cittadinanza. In particolare, la maggior parte delle richieste proviene dallo Stato di San Paolo, il più ricco.
Solo 1 ogni 6 di questi processi, invece, sono di discendenti italo-argentini, mediamente più poveri dei brasiliani. Paradossalmente, quindi, le limitazioni di tipo economico non frenerebbero l’arrivo della valanga di pratiche che intasa i tribunali italiani.
“Solo chi è a conoscenza di questo fenomeno, vedrà che l’articolo 106 è incostituzionale, discriminatorio, perché permette di accedere alla cittadinanza solo a chi ha delle disponibilità economiche importanti” dichiara Campolattano.
“Non saremo noi avvocati a fare fronte alle spese, anzi, potremmo guadagnare anche di più con questo nuovo panorama, ma nel nostro studio crediamo nell’accesso universale alla giustizia” conclude Katherine Turfo.