SANTIAGO DEL CILE – In una decisione senza precedenti, il Tribunale Costituzionale del Cile ha decretato la destituzione della senatrice Isabel Allende Bussi, del Partito Socialista (PS), a seguito di una votazione vinta con una maggioranza di 8 su 10 giudici.

La sentenza si basa sul fallito acquisto della casa che appartenne a suo padre, l’ex presidente Salvador Allende ucciso durante il golpe del 1973. Si tratta di un’operazione che lo Stato cileno intendeva realizzare per trasformare l’immobile in un museo.

La richiesta di destituzione è stata promossa da parlamentari del Partito Repubblicano e della coalizione Chile Vamos, che hanno sostenuto l’incostituzionalità dell’operazione. Si sono basati sull’articolo 60 della Costituzione cilena, che vieta espressamente a deputati e senatori di “stipulare o garantire contratti con lo Stato” durante il proprio mandato.

L’immobile in questione è in comproprietà tra Isabel Allende e l’attuale ministra della Difesa, Maya Fernández. L’acquisto, promosso dal ministero dei Beni Nazionali, ha generato una forte polemica politica e a suo tempo ha portato persino alle dimissioni dell’allora ministra competente, Marcela Sandoval.

Dal fronte governativo, la decisione è stata accolta con preoccupazione. Il ministro dell’Interno, Álvaro Elizalde (PS), ha definito la destituzione “una grande perdita per il Congresso” e ha avvertito che, qualora la sentenza venisse confermata formalmente, potrebbe costituire “un precedente molto grave”.

Da parte sua, Isabel Allende ha espresso il proprio disaccordo con la sentenza, pur accettandola. “In oltre 30 anni di servizio pubblico non ho mai usato il mio incarico per benefici personali e ho sempre rispettato la Costituzione e le leggi – ha dichiarato in un comunicato –. La memoria del presidente Allende rimarrà intatta. La sentenza non la offusca. Oggi non ci sarà un museo, ma continueranno a esserci strade e piazze con il suo nome in tutto il Cile e nel mondo”.

La portavoce supplente del governo, Aisén Etcheverry, aveva in precedenza difeso la legittimità del processo di acquisto, chiarendo che l’operazione era ancora in una fase iniziale e non era stata formalmente conclusa. Tuttavia, ha riconosciuto errori nella gestione del progetto e ha attribuito la responsabilità politica al ministero dei Beni Nazionali, all’epoca guidato da Sandoval.

Con questa sentenza, il Tribunale Costituzionale apre un nuovo capitolo nella giurisprudenza politica cilena, segnando un precedente nella vigilanza sui legami tra legislatori e atti amministrativi dello Stato.