ROMA - La riforma per la separazione delle carriere dei magistrati e per l’istituzione dell’Alta corte disciplinare è approdata nell’Aula di Palazzo Madama tra mille polemiche. Senza che si sia concluso l’iter in Commissione Affari costituzionale e con l’opposizione che ha parlato di “inaccettabile forzatura”. Mentre la maggioranza ha difeso il provvedimento parlando di “norma epocale”. In una seduta d’Aula durata ininterrottamente otto ore si sono presentate e poi si sono respinte (110 no, 52 sì e tre astenuti) le tre pregiudiziali di costituzionalità di Pd, Avs e M5s,  con l’astensione del senatore Pd Pier Ferdinando Casini che, in dissenso dal gruppo, non ha considerato incostituzionale il Ddl pur criticandolo nel merito, e si è dato il via alla discussione generale la cui durata complessiva si è calcolata in oltre 10 ore.

L’idea era quella di chiuderla il prima possibile, visto che nel fine settimana i senatori sarebbero stati impegnati con il Giubileo dei parlamentari e che domani, martedì, ci saranno le comunicazioni della premier Giorgia Meloni in vista del Consiglio Ue. Poi, si sono dovuti fare i conti con i 1.363 emendamenti ripresentati per l’Aula, anche se il centrodestra ha minimizzato dando per scontato il ricorso al ‘canguro’: tecnica che consente di votare gli emendamenti raggruppando quelli uguali e di contenuto analogo. Una volta approvato o bocciato il primo, decadono tutti gli altri. “Entro fine mese” è comunque la scadenza che la maggioranza si è data per la seconda lettura. E alla terza, cioè al ritorno alla Camera, come ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, “si potrebbe arrivare a fine anno, ai primi mesi del 2026 in quarta lettura e al referendum confermativo in primavera”. Referendum sul quale il centrosinistra ha ironizzato facendo riferimento ai recenti ‘inviti ad andare al mare’ rivolti dal centrodestra per quelli di Cgil e cittadinanza. Pd, M5s e Avs hanno criticato prima di tutto “la forzatura” sui tempi. L’iter in Commissione infatti “non si è concluso e il testo è arrivato in Aula nella data fissata dalla Capigruppo”. Ma il presidente della Commissione Affari costituzionali Alberto Balboni (Fdi) ha respinto l’accusa ricordando come lo spazio per il confronto ci sia stato visto che dal 29 gennaio, data di incardinamento del Ddl, si siano tenute “32 sedute di Commissione, sei d’Ufficio di Presidenza, 29 audizioni e la discussione generale sia andata avanti per sei sedute con 27 interventi”.

Tutti e 36 i senatori del Pd si sono iscritti a parlare. Con Walter Verini che ha sottolineato come la prima “a chiedere la separazione delle carriere fu la P2”. Nel M5s si è osservato come la riforma indebolisca i magistrati e suoni come “vendetta” contro le toghe. “Vogliono assoggettare i Pm all’esecutivo”, hanno dichiarato Ilaria Cucchi e Peppe De Cristofaro (Avs) rimarcando come il passaggio da Pm a giudice, e viceversa, riguardi appena lo 0,2% dei magistrati. La riforma, che ora prevede due concorsi e due Csm diversi, con tanto di sorteggio per entrare e l’Alta corte disciplinare, tiene il Parlamento occupato da anni: nella XIII legislatura con la Commissione D’Alema; nella XVI, con il governo Berlusconi, anche se il Ddl non arrivò all’esame dell’Aula della Camera; nella XVIII ma la Pdl si esaminò solo in Commissione. Infine, la legge Cartabia che stabilì limiti molto stringenti alla possibilità di cambiare funzione.